Autore: Solas Boncompagni

Edizioni Mediterranee

pagg. 246- € 13,900

 

 
       
 

Il mondo dei simboli

Numeri, lettere e figure geometriche

 

L'ARGOMENTO:

 

Lo scopo principale di questo libro è quello di svelare e rivalutare il senso perduto dei numeri e delle lettere, delle figure e dei corpi geometrici, risalendo, attraverso la scoperta delle loro misteriose origini e dei loro reconditi significati, a quando, nella notte dei tempi, la divina potenza creatrice ne fece dono all'uomo.
L'esame completo e approfondito dell'Autore, da molti decenni studioso della materia, si basa su una vasta conoscenza di tutti i prodotti culturali delle civiltà antiche, e ha il preciso scopo di ricondurre ad una sintesi di pensiero e a un linguaggio di tipo universale, base del progresso e dell'evoluzione dell'umanità.

 

PRESENTAZIONE:

 
Quando i simboli celesti invitano a un contatto cosmico
Da ogni parte le voci di un inconscio collettivo ci avvertono che si sta facendo tardi. Più trascorrono gli anni e più ci accorgiamo che "quest'ora non è una corrente, ma un vortice". Termina un ciclo storico: tutto acquista il sapore del nuovo e a noi è dato di vivere i tempi di un difficile trapasso. Abbiamo estremamente bisogno di riconoscerci umilmente un'infinitesima particella di quella grandiosa macchina divina che è l'universo e di riconoscere la realtà di quanto scriveva già Francesco Rabelais: "La scienza senza la conoscenza non è che la nostra rovina". L'uomo non deve trasformarsi in uno spregevole automa al servizio di quelle invenzioni da lui stesso create e deve convincersi che "siamo anime in evoluzione lungo i sentieri dell'energia universale". Questo nostro difficoltoso momento storico abbisogna di un contatto cosmico per il superamento della crisi in cui ci dibattiamo, perché è difficile raggiungere una comunità d'intenti fra noi terrestri per il sussistere di differenze razziali, culturali e cultuali, ambientali e storiche. Ormai solo un "contatto cosmico" con altre creature più evolute e viventi in altri pianeti ci potrà aiutare ad essere degni di un "ordine" di intelligenze, superiore, universale, poiché è assurdo ritenerci soli in un oceano senza confini. La necessità di un contatto non ha del resto mai cessato di costituire l'unica spinta evolutiva di tutta la storia dell'umanità.
Fino dai tempi primi si usò un "grafema-simbolo" per indicare più concetti, come quel "tsirt" che nell'antica Caucasia significava: metile, dolmen, menhir, stele, cippo, pietra tombale, monumento funerario o necropoli, ma soprattutto un "segno di presenza umana". E soltanto i simboli potranno essere gli artefici di un dialogo universale per un'unità soltanto raggiungibile "quando microcosmo e macrocosmo coincideranno e quando ogni punto, ogni attimo avrà in sé l'universo, anzi sarà lo stesso universo". E lo "tsirt" trovarlo allora inciso su rocce nelle solitudini antiche dell'ancora nostro sconosciuto pianeta significava "speranza di un contatto umano" perché l'uomo è nato per comunicare. Il segno, il simbolo, il grafema furono una rivoluzione della protostoria umana, un primitivo strumento di "contatto". Il biblico "fiat lux" del Creatore fa pensare ad un "contatto mentale"; la prima grande rivoluzione nel progresso umano fu determinata dalla comparsa degli Oannes presso i Sumeri, frutto di un rapporto di sapienza degli uni e dell'ignoranza degli altri: un contatto.
Edison con un contatto fece della notte il giorno; nel 1930 Marconi con il suo radiosegnale da Genova a Sidney ottenne un contatto; nel 1945 Hiroshima e Nagasaki furono distrutte a causa di un contatto e pure il lancio della storica navetta spaziale che condusse il primo uomo sulla luna; il momento culminante della crisi adolescenziale e il rigetto familiare per l'inserimento in una compagnia di coetanei: ancora un contatto; il nucleo familiare cresce per un contatto genetico. Così ora c'è bisogno di un ben altro contatto per l'umanità, un contatto diverso, più imprevedibilmente importante e di cui si ignorano perfino le conseguenze: un "contatto cosmico", per un'immensa socializzazione universale. Cristo nella sua vita terrena c'insegnò di considerarci tutti fratelli, mirava già molto più in là, ma tacque perché sapeva che non erano ancora maturi i tempi per dirlo alle sue genti; occorreva allora adoperarsi per raggiungere una fratellanza terrena. Ma ormai è l'ora di comprendere che il sé non è di dimensione umana, ma cosmica. Solo oggi si può considerare e giustificare la costante presenza di "segni nei cieli" che hanno segnato le nostre grandi "tappe storiche" e quale altro simbolo universale e senza tempo avrebbe potuto rendersi manifesto se non la croce?

 

"Croci nei cieli"


Ora, se riguardiamo la casistica storica delle apparizioni di "croci nei cieli" e distinguiamo il fenomeno astronomico, atmosferico o ottico da quello veramente straordinario e significativo, ce ne potremo facilmente rendere conto.
Costituisce addirittura una "manifestazione celeste" insolita, per esempio, quella a cui assisté l'imperatore Costantino il Grande, la quale determinò l'abbandono da parte sua del culto pagano, in cui egli aveva fino ad allora creduto e storicamente ricordato come "helios o sole siriaco", per una conversione cristiana. E tale "manifestazione" fu la celebre visione del 312 che ci è pervenuta descritta in due versioni. Secondo Lattanzio l'imperatore l'avrebbe sognata prima della ben nota battaglia di Ponte Milvio in cui morì Massenzio. Secondo Eusebio di Cesarea invece, declinando il sole all'orizzonte, l'avrebbe vista in cielo con la scritta: "In hoc signo vinces" e il significato soltanto gli sarebbe stato svelato in un sogno successivo. In quel lontano tempo certamente i testimoni oculari non avrebbero però potuto dare ulteriori precisazioni minuziose di come apparve la visione. E, nel sogno, Costantino sarebbe stato invitato ad ordinare ai suoi "militi" di combattere contro Massenzio con i labari aventi la figurazione del simbolo del "Chrismon" per ottenere la vittoria. Fu questo dunque il primo "momento storico" essenziale per la diffusione e ufficialità della religione cristiana.
Successivamente nel periodo pasquale del 1115, un altro evento, al tempo di Enrico V, ci lascia alquanto perplessi nella interpretazione del fatto. Il cielo d'improvviso parve aprirsi ampiamente emettendo un fulgore nitido come di esplosione silenziosa e per un'ora mostrò al suo centro l'immagine di una croce aurea.
E siamo così al novembre del 1301. Dino Compagni (1255-1321) precisa nella sua "Cronica": "La sera apparì in cielo un segno meraviglioso, il quale fu una croce vermiglia sopra il Palagio de' Priori. Fu la sua lista ampia più che palmi uno e mezzo; e l'una linea era di lunghezza braccia XX in apparenza, quella attraverso un poco minore (ciò che fa pensare ad una croce latina - N.d.A.); la qual durò per tanto spazio, quanto penasse un cavallo a correre due aringhi. Onde la gente che la vide, e io che chiaramente la vidi, potemo comprendere che Iddio era fortemente contro alla nostra città crucciato".
E Dante Alighieri (1265-1321) confermò ne "Il Convivio": "E in Fiorenza, nel principio della sua distruzione, veduta fu ne l'aere, in figura di una croce, grande quantità di questi vapori, seguaci della stella di Marte".
E infine Giovanni Villani (1276?-1348) ricorda nella sua "Nuova Cronica" che "singularmente si disse della detta cometa". Tale croce fu visibile solo alcuni giorni dopo la venuta in Firenze di Carlo di Valois.
Corrado Licostene (1518-1561) nella sua "Chronicon Prodigiorum" (1557) riporta poi diversi casi, come quello verificatosi nel giugno del 1372 nella sua città, Basilea, dove egli insegnava. Si vide un singolare alone solare sormontato stranamente da due bellissime croci luminose di colore rosso, chiaramente distinte dall'alone.
Interessante risultò pure l'altro fenomeno avvenuto nel 1470 nel cielo del Piacentino che si presentò come costituito di ben quattro croci perfettamente identiche disposte in modo di essere ai quattro margini di una immaginaria più grande, un po' come la Stella del Sud o una croce di Gerusalemme; oppure quello del marzo 1554 quando - interessate numerose città germaniche da fenomeni solari - verso l'"hora pomeridiana quinta", si notarono diverse croci in cielo di colore bianco, unite senza nessuna ragione e connessione.
Tutte le predette segnalazioni non eguagliano però l'eccezionalità di una complessità fenomenica avvenuta nel 1569, anche se si ignora la località nel cielo della quale accadde. Di notte fu vista una improvvisa grande luce, scomparsa la quale indicibili tenebre avvolsero tutto fino al suo ritorno con due colonne di fuoco, la cui comparsa con il loro splendore anticipò una grande apertura del cielo in mezzo alla quale si vide meravigliosamente risplendere una grande croce .
Poi, un grande balzo nel tempo, forse, perché dopo Ossequente e Licostene nemmeno Charles Fort ci tramandò una casistica di croci nei cieli. Si può soltanto registrare il fatto del 14 luglio 1865 quando, durante una scalata ardimentosa del Cervino, con discesa disastrosa, i superstiti poterono assistere alla comparsa in quel cielo di un immenso arco in cui si stagliarono due grandi croci luminose che furono però interpretate come un fenomeno ottico.
Bisogna poi raggiungere la nostra epoca per assistere ad un nuovo risvolto storico di visioni crociate celesti ed esattamente al 6 novembre 1954 (anno della ben nota ondata ufologica su territorio italiano). E quell'avvenimento ce lo narra dettagliatamente il console Alberto Perego al quale assisté dalle ore Il alle 13 sul cielo di Roma assieme ad una ventina di operai dalla terrazza dello stabilimento "Neri" di acque minerali, sito nel quartiere tuscolano. "Fu lo spettacolo più emozionante della mia vita", precisa il console, "Si videro evoluire apparecchi altissimi sugli 8/10.000 metri e la 'manifestazione' si svolse come effettuata da squadriglie di puntini appena visibili in un cielo perfettamente sereno". La formazione avrebbe potuto essere costituita da una cinquantina di apparecchi. Alle ore 12 una formazione a cuneo, proveniente da oriente, procedeva verso una seconda che si avvicinava dalla parte opposta, finché unirono i rispettivi vertici dei loro cunei ricordando così l'antico simbolo di Costantino sempre nel cielo del Vaticano, come se avessero voluto indicare, anticipandolo, l'avvio ad un "contatto cosmico" della nostra umanità con "intelligenze" di un altrove ancora sconosciuto. E nello stesso tempo questo avvenimento avrebbe potuto anche intendersi come un "crisma di ufficialità di un cristianesimo cosmico".
Di croci se ne videro ancora. Insoluta, per esempio, rimase la visione di quella ben distinguibile apparsa nel cielo di Firenze, un cielo mattutino ancora nebbioso del 29 settembre 1962, quando nella zona di Calenzano mi soffermai io stesso per osservarla, mentre mi trovavo in auto. Naturalmente la vidi in tralice su Firenze perfettamente ferma, ma non potei fotografarla perché ero privo di macchina fotografica. Comunque la mia "testimonianza indipendente" servì a convalidare la foto scattata da un cittadino di Firenze allo zenit della città e pubblicata su "Nazione Sera" del 2 ottobre 1962 e successivamente sulla stessa del 4 ottobre 1962. Vi si leggeva chiaramente che l'oggetto era in movimento, ma io, la vidi nitida e ferma.
Infine, recentemente, durante la trasmissione televisiva "Piazza Grande", il Magalli intervistò un ufologo che proiettò l'immagine di un recente fenomeno celeste raffigurante una croce latino-cristiana di derivazione dall'uso del supplizio della crocifissione al tempo di Gesù. Si trattò certamente di un fatto ben diverso da quelli astronomici o ottici e tutte queste visione storiche rivelano un intelligente significato di unicità simbolica crociata attraverso il tempo dall'epoca antica a tutt'oggi.

 

1. Lo zero:

 
Origini ed interpretazioni di questa cifra - Lo zero inteso come "limite delle quantità infinitesimali" e come sutura dimensionale - Simbolismo dello zero presso i Maya ed intuizione della sua necessità presso gli Egizi - Mitologia del "Popol Vuh" e ciclo culturale agreste del mais - Lo zero ed il "rovesciamento di polarità" - Confronti tra chiocciola, conchiglia, spirale, pigna e zero - Stretta correlazione simbolica fra zero ed uovo primordiale nelle mitologie primarie e secondarie - Dagli Egizi ai Cinesi, dagli Indiani ai Celti, dai Greci alle popolazioni africane del Mali - Dall'uovo cosmogonico agli stūpa dagli ombelichi del mondo, "centri di sviluppi spaziali e temporali", alla "lamina d'oro" del Coricancha di Cuzco.

Il termine "zero" si fa derivare dal "latino medievale del tredicesimo secolo": "Zephyrum", accusativo di quello "Zephyrus" col quale si soleva indicare il vento occidentale primaverile, che spira con tale leggerezza da ritenersi un "vento da nulla"; ma si fa derivare anche da "cifra", che risale all'arabo "sifr" e che significa "nulla", incrociato con lo spagnolo antico "zero". C'è però chi lo fa provenire direttamente dall'arabo, essendo questo numero una cifra. In arabo, infatti, "zerret" significa: "cosa da nulla".
Lo zero, in origine, volle dunque essere un segno equivalente al "niente, ossia la nessuna quantità"; ma era capace altresì, aggiunto ad una delle nove cifre iniziali, di moltiplicare per dieci e creare le decine; se raddoppiato, di creare le centinaia; se triplicato, le migliaia eccetera. Graficamente non ha cambiato la sua forma ovale o circolare, cosicché col passare del tempo, dall'antico sanscrito e dal persiano c'è pervenuto senza modifiche sostanziali. Una variazione grafica dello zero si ebbe invece proprio con gli Arabi che lo esprimevano con un punto, mentre con la grafia che noi stessi si è soliti usare essi indicavano il cinque.
I matematici hanno ancora l'abitudine di segnare con uno zero "il limite delle quantità infinitesimali", quel confine però che va bene per un "uomo misura di tutte le cose", ma che uno scienziato filosofo in genere non accetta, accusandone la limitatezza. Infatti, le attuali scoperte scientifiche spostano sempre più in là i confini del conosciuto, procedendo sia verso l'immensamente grande che verso l'infinitamente piccolo, e lasciando intravedere già un possibile punto di congiuntura dimensionale, che forse rappresenta la sutura ideale di quegli innumerevoli universi paralleli, ipotizzati da Einstein. Essi non rinnovano forse il vecchio concetto dell'infinito? L'uomo ha ancora molto da scoprire, ma già avverte che i tempi si stanno per lui velocemente maturando. Le stesse recenti supposizioni sull'esistenza e la funzione dei "buchi neri" rendono particolarmente attuale il simbolismo dello zero, che pertanto si può considerare più interessante di tutte le altre cifre.
Questo simbolo ed il suo uso aritmetico si fanno risalire ai Maya, che per primi fra i popoli antichi ne avrebbero tramandato le caratteristiche essenziali, tanto che di essi si dice che intuirono il significato dello zero e lo usarono "almeno mille anni prima degli Europei". Perfino gli Egizi non possedevano alcun geroglifico corrispondente a questo segno, per quanto ne avessero intuito la necessità. Nella mitologia del "Popol Vuh", questa cifra "corrisponde al momento del sacrificio divino, legato al ciclo cultuale agreste del mais". Si tratta di un sacrificio che è inteso come momento di transizione tra una vita e l'altra o altrimenti come passaggio dimensionale nella ciclicità evolutiva universale. In effetti, nel "processo di germinazione del mais", lo zero sta a puntualizzare il "momento della disintegrazione del seme nella terra", allorché si passa dallo stato embrionale latente allo stato embrionale germinativo, con cui "la vita si manifesta a nuovo, facendo apparire in superficie il piccolo gambo del mais nascente". Analogamente si potrebbe parlare di un "simbolismo uterino" e di una nascita umana, d'una vita incosciente e di una cosciente, di una dimensione inferiore e di una superiore. Se poi si pensa che nelle dottrine orientali ogni genesi nella sua ciclicità assume un valore di rigenerazione, di ripetizione, si potrà comprendere maggiormente tutto quell'"occultismo europeo" che si fa derivare dall'Oriente stesso e che vuol vedere nello zero anche "l'istante di rovesciamento di polarità, che nel ciclo zodiacale separa la fine del mezzo cerchio involutivo dall'inizio del mezzo cerchio evolutivo". Non si dimentichi che l'inversione di polarità terrestre, alla quale si accenna in diversi testi sacri dell'antichità, dovette certamente determinare il passaggio da un "eone" ad un altro, da un ciclo evolutivo ad uno successivo, determinando un rinnovamento di tutto il ciclo biologico planetario.
A questo punto non è difficile scoprire lo stretto legame che unisce il simbolo dello zero con quello arcaico della conchiglia o della chiocciola, della spirale, della pigna, ma soprattutto dell'uovo; già, perché lo zero, molto probabilmente, nella sua più lontana origine grafica non intendeva rappresentare altro che un uovo, per cui l'antica dottrina riguardante quest'ultimo si può addirittura identificare col significato simbolico della cifra a cui si dedica questo capitolo. Si è già scritto a lungo sulla dottrina dell'uovo cosmico in precedenti ricerche clipeologiche, ma qui sarà bene aggiungere tutte quelle considerazioni che possono giovare alla comprensione della sopraccitata identificazione.
L'uovo è "simbolo sacro nelle cosmogonie di tutti i popoli della terra" e, come tale, lo si trova assai frequentemente citato nelle mitologie primarie e secondarie, proprio perché "racchiude in sé il mistero biologico dell'origine ed il segreto dell'essere". Si può dire che rappresenti "un nulla latente che produce qualcosa di attivo, di vivente", alla stessa stregua di uno "zero" che niente significa e da cui come cifra iniziale della progressione numerica si origina però l'uno stesso, giacché "la figura dell'unità iscritta nello 'zero' era un tempo il simbolo della divinità, dell'universo e dell'uomo". È certamente molto antica questa concezione genetica numerica. Se poi si attribuisce all'uno le caratteristiche del "principio maschile che proviene dal principio femminile 'zero'", si riesce facilmente a comprendere che la "nozione decimale deriva appunto dall'accoppiamento generatore dell'uno e dello zero". Ma se da quest'ultima cifra si suole far nascere l'unità e gli altri otto numeri successivi che sono multipli dell'unità stessa, questo concetto non si distacca dall'idea della "nascita del mondo da un uovo", idea che è comune ai Celti, ai Greci, agli Egizi, ai Fenici, ai Cananei, ai Tibetani, ai Vietnamiti, ai Cinesi, ai Giapponesi, ai Siberiani e a tanti altri popoli sparsi sulla superficie del nostro globo. I miti di molti di essi ricordano un uovo primordiale, costituente un'"unità primaria, caotica nei suoi elementi latenti", che poi si divise in "due metà" od emisferi di diverso colore, per dare origine ad un cosmo attivo, vitale ed armonico. Questa dottrina cosmogonica, detta appunto dell'"uovo cosmico", ha diverse interpretazioni presso i vari popoli sopraccitati, ma esse indubbiamente intendono riferirsi ad un'unica verità simbolicamente espressa.
Fra i primi seguaci di questa dottrina sono gli Egizi, che intravedevano nell'uovo il simbolo della rinascita ad una vita ultraterrena, certamente immortale ed eterna, quindi sostanzialmente diversa da quella dell'"Ankh" o "croce di vita" o "Tau", che doveva invece significare soltanto un nascimento ancora non libero dal vincolo del ciclo delle esistenze. "L'uovo era ritenuto, dunque, una realtà primordiale, che conteneva in germe la molteplicità degli esseri", esattamente come nel simbolismo numerico si faceva derivare dallo zero la molteplicità dei numeri. Tale uovo "emergeva dal Nun, personificazione dell'oceano primordiale" e da esso "usciva un dio, organizzatore del caos", per favorire così "la nascita degli esseri differenziati".
Se dall'Egitto si passa all'India, l'uovo sorge dall'inesistente, dal "non-essere" (lo zero) e gli elementi hanno origine da questo. Il substrato comune di quest'antichissima dottrina si ritrova sempre. "Al principio l'universo era 'non-essere'. Esso divenne poi l'Essere (l'uno)"; questo s'ingrandì ed assunse la forma ovale che, dopo un anno, sezionandosi in due parti come fossero due valve di conchiglia (il due o i multipli dell'uno), l'una d'argento originò la terra, e l'altra d'oro il cielo. "Membrana e vene" dettero corpo agli altri elementi (montagne, nubi, nebbie, fiumi ed oceani) e il Sole fu inteso come "la parte migliore dell'uovo cosmico": il tuorlo. Sia l'induismo che il buddhismo s'ispirarono anche architettonicamente a questa cosmogonia. Vishnu nasce dall'uovo con un loto in mano e le statue di Buddha sono inserite all'interno degli "stūpa", che hanno, specialmente in Afghanistan, la forma di un uovo, per cui sono chiamati "anda". Questa specie di "sfera", che può essere confrontata con "la conca, la pietra ovoidale, la caverna, il cuore, l'ombelico, i centri del mondo", embrioni di "sviluppi spaziali e temporali", ricorda pure l'"aura" infocata entro cui vola l'Ahura Mazdā dei mazdeisti o, se si preferisce, il dio Assur degli Assiri. Tutte queste divinità sono legate a quel "luminoso involucro" che le contiene e si presentano simili agli "dei ex machina" del teatro greco-romano. Ma ciò che maggiormente interessa la concezione cosmogonica, secondo la quale tutto sembra avere origine da un involucro rotondeggiante, è la misteriosa forza dicotomica che organizza un inerte caos iniziale attraverso la sua polarizzazione antitetica e la creazione degli opposti, per cambiare tenebra in luce e inesistenza in vita: una sorta di energia universale, alla quale. è sottoposto il creato. Cosicché "come avviene nel germe fecondato entro l'uovo... azioni e reazioni, dal 'vuoto informe', producono le forme del cosmo". I Cananei parlano di un uovo cosmico da cui ebbero origine cielo e terra, i Tibetani sostengono che "l'uovo è all'origine di una lunga genealogia di uomini", i Cinesi dicono che lo stesso "Caos aveva l'apparenza di un uovo di gallina" e i Celti ricordano l'"ovum anguinum", contenente "in germe tutte le possibilità".
Per i Maya lo zero, nella glittica, è sostituito dal simbolo della spirale, giacché essa più ancora dell'uovo, può suggerire il passaggio da una dimensione inferiore ad una superiore, da un universo dell'estremamente piccolo ad un universo dell'immensamente grande, "da un infinito chiuso ad uno aperto" (17) e, come l'uovo, la spirale può simbolicamente rappresentare il punto di sutura fra due dimensioni, idea che oggi più che mai ci appare incredibile, in quanto dovuta ad un popolo tanto antico e perciò così lontano nel tempo. I Maya però, oltre che il simbolo della spirale, conoscevano anche quello dell'uovo cosmogonico. Secondo uno schema tramandatoci dall'indigeno Santacruz Pachacuti, la famosa "lamina d'oro" di Cuzco, ritrovata nel grande tempio solare, detto Coricancha, rappresentava nella parte alta una "ellisse chiusa", in cui si è voluto intravedere un'"allusione all'antico mito dell'uovo cosmico dal quale tutto procede".
Anche in certi miti nordici si ritrova questa dottrina. "Prima della nascita del tempo, l'anitra depose nelle acque primordiali sette uova, di cui sei d'oro ed una di ferro". L'uovo fu nelle terre russe e svedesi conosciuto come "simbolo di risurrezione e d'immortalità".
Altre notizie si hanno da Diodoro Siculo, secondo il quale "Osiride, come Brahma, nacque da un uovo". Fu poi "dall'uovo di Leda" che "nacquero i Dioscuri, cioè i gemelli Castore e Polluce". David Herbert Lawrence dice che "gli uomini etruschi con le loro barbe, reclini nei letti della festa, tenevano alto nelle mani il misterioso uovo".
Questo strano involucro, in cui la vita si forma e che nell'ermetismo diventa principio fiIosofale, è presente perfino in certe mitologie secondarie.
Le popolazioni africane del Mali, per esempio, hanno pure un simbolo composto che ricorda il "mito dell'uovo cosmico" e che essi chiamano "vita del mondo". Lo strano glifo s'ispira senza dubbio alla ricordata "Ankh" (o "croce di vita") degli antichi Egizi, solo che in più s'incrocia in basso con un semicerchio raffigurante la superficie terrestre. Comunque, a parte la leggera diversità grafica, il significato sembra cambiare. Il cerchio superiore è l'uovo cosmico, il mondo spirituale o la dimensione superiore che, con una croce equibracci sottostante e rappresentante la sutura fra due mondi od universi o dimensioni, si collega al semicerchio inferiore o "uovo aperto verso il basso, matrice terrestre". Secondo le popolazioni africane del Congo, l'"uovo" è pure un'immagine del cosmo e "l'uomo deve sforzarsi a rassomigliare ad esso". Nei miti sciamanici esistono "uova" che accolgono in sé "oggetti-anima"  e infine nei leggendari racconti di certe popolazioni australiane si fa addirittura nascere l'uomo da un uovo, come la donna da una noce di cocco.
Sia l'uovo che lo zero sono quindi simboli di vitalità, di prosperità, di discendenza; gli uomini primordiali escono da un uovo come i numeri dallo zero e sia l'uno che l'altro racchiudono entro di sé il mistero dell'infinito, inteso come ciclicità o come periodicità rigenerativa.
 
 
INDICE:

 
Introduzione: Quando i simboli celesti invitano a un contatto cosmico pag. 9

PARTE PRIMA: SIMBOLISMO DEI NUMERI  
1. Lo zero pag. 21
2. L'uno e il multiplo pag. 31
3. Il due pag. 41
4. Il tre pag. 49
5. Il quattro pag. 59
6. Il cinque pag. 69
7. Il sei pag. 79
8. Il sette pag. 89
9. L'otto pag. 99
10. Il nove pag. 109
11. Il dieci e l'undici pag. 121
12. Il dodici pag. 129


 

PARTE SECONDA: SIMBOLISMO GEOMETRICO  
13. Il quadrato pag. 141
14. Il circolo pag. 151
15. Il triangolo pag. 159
16. Cubo, pilastri e dadi pag. 169
17. Sfera, cupola, abside e palla pag. 179
18. Piramide, cono e trottola pag. 189
19. Il punto e il centro pag. 199
20. Alfabeto, suono, linguaggio e struttura pag. 209
21. Le lettere: dalla "A" alla "K" pag. 219
22. Le lettere: dalla "L" alla "Z" pag. 227
Indice analitico pag. 237
 
 
L'Autore
 
Solas Boncompagni vive a Firenze. Dopo aver seguito studi musicali, si è dedicato alla narrativa, vincendo nel 1970, con una trilogia di racconti, il "Marzocco" conferito dal Comune di Firenze. Ha collaborato a numerose riviste; dal 1971 scrive sul "Giornale dei Misteri" come studioso di simbolismo, automatismo, clipeologia e ufologia. È uno dei fondatori del Movimento Culturale Umanistico, che si propone l'attuazione di un nuovo umanesimo di dimensione cosmica. Svolge attività di relatore in congressi e convegni. Ha curato l'edizione del "Libro dei Prodigi", di Giulio Ossequente (Corrado Tedeschi Editore) ed è uno degli autori della collana "Ufo in Italia" (Corrado Tedeschi Editore).
 

 

 

 

LIBRERIA DI MISTERIA

 
 

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