Autore: Howard Murphet

Mother Sai Publications

Pagg. 308 - Prezzo € 15,49

 
 

 

SAI BABA - L'Uomo dei miracoli

 

Cosa si può dire sui miracoli di Sai Baba, se non ricordare le Sue stesse parole? Swami dice: "I miracoli sono le esche con cui vi catturo... le materializzazioni servono a gratificarvi, in attesa che essi un giorno mi chiediate quello per cui sono venuto..."

Questo libro è uno dei testi più eloquenti su Sai Baba, l'Avatar di cui parlano tutte le profezie, incarnatosi in quest'era buia per instaurare la nuova Età dell'Oro. Da consigliare a tutti, devoti e non, credenti e atei... da esso tutti potranno trarre qualcosa su cui meditare seriamente.

Alcuni brani scelti dal libro:

[...]


Nel 1966 la celebrazione di Maha-siváratri, più comunemente nota come Siváratri, cadeva il 18 febbraio. Tornando dalla colazione, quella mattina dovetti stare attento a dove mettevo i piedi per non calpestare i visitatori sparsi ovunque. Tutti i locali erano al completo, tutto lo spazio sotto gli alberi era occupato e ora la gente stava sistemandosi provvisoriamente un po' dappertutto per terra. In queste occasioni non sono le comodità a preoccupare gli indiani.

Mi unii al gruppo che aspettava davanti alla Mandir, l'edificio centrale. Migliaia di persone aspettavano che Sai Baba si affacciasse al balcone e impartisse la sua benedizione mattutina.

L'esile figura rossa dalla zazzera corvina fece una rapida apparizione. Sollevò il braccio per benedire la folla con un fare distratto che non gli era abituale e ritornò in fretta nella stanza.

Ebbi l'impressione che non stesse bene. Subito dopo seppi dal dottor Sitaramiah, che lo aveva appena visitato, che la temperatura di Baba era salita oltre i 40 gradi.

"Suppongo che tutto ciò abbia a che vedere con la formazione del linga di Sivá nel suo corpo. E' un grosso mistero' concluse il dottore.

Baba, tuttavia, continuo', imperterrito, la sua attività, come se ciò non lo riguardasse. Lo vidi passeggiare distribuendo pacchetti di cenere alla folla seduta in attesa del dono tanto ambito e desiderosa di sfiorare anche soltanto l'orlo della sua veste. Poi, nel corso della mattinata, compì il primo dei due miracoli di quella giornata.

Esso avvenne sotto una grande tettoia, dove migliaia di persone si assiepavano sul pavimento, pigiate come lo possono essere soltanto le sardine in scatola e le folle indiane.

Fortunatamente, trovai posto nei pressi del palco, tra uno stuolo di fotografi ai quali era stato riservato un piccolo spazio. Stralcio qui le righe del mio diario riguardanti gli avvenimenti di quella mattina: "Sul palco è collocata una grande statua d'argento di Sai Baba- di Shirdi, seduto nella sua caratteristica positura. Il signor Kasturi solleva una piccola urna di legno, alta una trentina di centimetri e piena di víbhuti. Tenendola al di sopra della statua, versa la cenere sulla figura fino a vuotare l'urna. Poi la scuote ben bene per far cadere anche gli ultimi granuli continuando a reggerla al di sopra della statua con l'apertura rivolta verso il basso.

"Allora Sai Baba infila nell'urna il braccio sino al gomito e lo fa ruotare come pestello in una zangola. Subito la cenere ricomincia a piovere dal recipiente, fluendo in abbondanza finchè il braccio non viene estratto. A questo punto cessa il fiotto di cenere. Poi è la volta dell'altro braccio, a cui egli fa compiere un'identica rotazione provocando una nuova pioggia di cenere. La strana cerimonia prosegue, poiché Baba usa alternativamente le braccia: il recipiente vuoto versa cenere quando la mano è dentro e cessa immediatamente quando egli la ritira. Alla fine il simulacro di Sai Baba di Shirdi è sepolto da un enorme mucchio di cenere, molta più di quanta potesse essere contenuta nell'urna. Poi essa viene posata a terra: il bagno rituale e miracoloso di cenere è terminato.

"Tutt'intorno regna un'atmosfera di gioia e di esaltazione.

Il viso del signor Kasturi è più raggiante che mai, i gesti e l'atteggiamento di Baba sono l'espressione sublime di una grazia che non è di questo mondo. Tutto è meraviglioso, ma avendo visto il Sai in precedenti occasioni estrarre dall'aria manciate di cenere, non riesco più a sorprendermi di fronte a questa dovizia cavata da un'urna vuota".

Il momento culminante della giornata doveva ancora venire, e molti ne facevano oggetto dei loro discorsi. Mi venne raccontato che, ogni anno, uno o più linga di Siva si materializzavano nel corpo di Baba in coincidenza della sacra festività. Egli li faceva uscire dalla bocca, perché tutti li potessero vedere. L'uscita dei linga era sempre laboriosa, essendo essi costituiti da pietre chiare o colorate, e talvolta da un metallo simile all'oro o all'argento.

"Siete certi che non li nasconda in bocca prima di salire sul palco, estraendoli poi al momento opportuno? ", domandai.

I miei ascoltatori mi lanciarono un'occhiata tra il divertito e il compassionevole. Uno di loro precisò: "Baba parla e canta a lungo prima che il linga fuoriesca, e in ogni caso esso è troppo grosso perché lo possa tenere in bocca mentre pronunzia i suoi discorsi. L'anno scorso era di proporzioni tali che dovette aiutarsi con le dita per farlo passare attraverso le labbra, e anche così, per lo sforzo, gli angoli della bocca gli sanguinarono". Un altro soggiunse: "Un anno furono addirittura nove, ognuno lungo tre centimetri. Provi un po' a tenerli tutti in bocca e poi a parlare per un'ora di seguito! ".

Anche ammesso che porti queste "cose" all'interno del suo corpo, pensai, qual è il punto preciso in cui si trovano? Certo è un fatto mirabolante, ma che valore ha? e che cos'è un linga di Siva?

A quest'ultima domanda ricevetti molte risposte dalle persone presenti nell'ashram, ma la spiegazione più soddisfacente è forse quella che mi aveva dato il Dr. I.K. Taimni al corso di teosofia. La ricordavo vagamente, ma ritornato ad Adyar andai a riguardare i miei appunti. Ecco in succinto ciò che egli diceva.

"Il linga di Siva è uno dei simboli "naturali" dell'induismo, che hanno di solito forma geometrica. Essi sono denominati "naturali" non solo perché rappresentano una determinata realtà, ma anche perché in qualche misura sono i veicoli della forza che emana da quella realtà. Il linga è un ellissoide che simboleggia la sákti (energia creativa) di Siva, cioè la prima manifestazione della primordiale dualità cosmica di generazione e distruzione. Su tale coppia di opposti è fondato l'intero divenire del cosmo.

Ci si potrebbe chiedere perché viene usato proprio un ellissoide per simboleggiare il principio creativo. Il Dr. Taimni lo spiegava così. La realtà ultima, l'Assoluto, o Brahman, o Dio, comunque lo si voglia chiamare, non contiene polarità, ne' coppie di opposti: essa li trascende tutti. Quindi può essere raffigurata dalla figura geometrica più perfetta, la sfera.

Se il centro o l'unico punto focale della sfera si divide in due, si ha un ellissoide. Questa figura dà una rappresentazione simbolica della dualità primordiale uscita dall'Uno originario e pleromatico. Da questa prima dualità discendono tutte le manifestazioni, tutta la creazione, tutte le "diecimila cose" dell'universo. Il linga è, quindi, la forma primigenia che è alla radice della creazione, come Om è il suono primordiale.

Per dirla in termini induisti, dall'unico Brahman emerge Sivá-Sákti, il padre e la madre di tutto ciò che è. Si deve osservare in questa relazione che Siva non è soltanto un aspetto della Trinità divina, l'aspetto della generazione-distruzione, ma anche l'Altissimo Dio, il padre di tutti gli dei, il logos cosmico.

Al pari di tutti gli dei dell'induismo, Siva ha una consorte, la Sákti o aspetto femminile. E mentre il mascolino, o aspetto positivo, rappresenta la coscienza, il femminino o aspetto negativo simboleggia la forza. Entrambi gli aspetti sono necessari per la creazione o manifestazione sul piano della materia.

E' anche significativo che la forma ellissoidale, o linga, simboleggiante il principio di Sivá-Sákti, abbia una parte fondamentale nella struttura e nel funzionamento dell'universo. Nel cuore della materia, ad esempio, all'interno dell'atomo gli elettroni si muovono secondo orbite ellittiche intorno al nucleo. Analogamente, nel sistema solare i pianeti descrivono intorno al sole delle orbite, non circolari, come si credeva un tempo, ma ellittiche.

Alcuni considerano il linga un semplice simbolo sessuale. Ma la sessualità è solo una delle tante manifestazioni del principio di Sivá-Sákti contenute nel linga. Questo principio è manifestato da tutte le coppie di opposti, e nulla in questo universo fenomenico può esistere senza il suo opposto o contrario. La dialettica degli opposti è alla base dello stesso pensare al nostro stadio di coscienza; e non possiamo, ad esempio, concepire la luce senza le tenebre, il bene senza il male e così via.

E' errato quindi sostenere che la venerazione di questo simbolo derivi dai primitivi culti fallici. Il linga ha una connotazione più profonda e significativa. La stessa parola sanscrita significa semplicemente "simbolo" o "emblema", il che indicherebbe che si tratta di un simbolo di base, o primario. Rappresentando in forma sensibile il principio e la forza creativa primordiali, esso è considerato degno della più alta venerazione sul piano fisico, e poiché ha una relazione geometrica con la realtà che simboleggia, può mettere il fedele in rapporto con questa stessa realtà. Come ciò avvenga, sottolinea il Dr. Taimni, è un mistero che può essere risolto o capito solo da un'interiore esperienza personale.

Tuttavia si è asserito che questo sacro ellissoide di pietra o di metallo abbia l'occulto potere di stabilire un rapporto tra l'uomo e la forza divina sul piano profondo che esso rappresenta. Attraverso questa relazione l'adoratore beneficerebbe di innumerevoli benedizioni e favori. Ma il legame mistico deve essere stabilito da una persona che possieda la dovuta comprensione dei principi e la conoscenza del giusto rituale.

Trentamila persone avrebbero affrontato un viaggio durissimo di migliaia di chilometri solo per vedere Sai Baba generare dal proprio corpo una pietra comune, anche se in modo miracoloso? Ne dubito. Ma la pietra attesa quella sera, il linga, non è una pietra qualunque. Essa affonda nel cuore antico dell'India.

Le ombre si allungavano, ma il pomeriggio era ancora caldissimo quando, dalla foresteria, mi avviai verso la piccola rotonda, detta Shanti Vedika, dove doveva accadere l'evento. La costruzione si trova ad una certa distanza dalla Mandir ed è simile a quei palchi per le orchestre che si trovano nei parchi di molte città occidentali. Esso ha forma circolare, un pavimento sopraelevato, un basso steccato attorno e degli esili pilastri che reggono il tetto.

Non solo le grosse tettoie erano stipate di spettatori, ma l'ampia superficie che si estendeva dalla rotonda centrale al perimetro dell'ashram era un'unica massa compatta di figure sedute. Qualcuno mi fece strada attraverso la silenziosa foresta di teste, lungo un passaggio di stuoie di cocco tra donne a destra e uomini a sinistra. Mi domandavo se avrei trovato da qualche parte un quadratino per sedermi.
Vicino alla Shanti Vedika era stato riservato uno spazio ai funzionari, ai discepoli più stretti, ai fotografi e ad alcune persone, munite di registratore. Essendo un ospite straniero mi venne fatto cortesemente posto tra loro. Ma anche questo recinto privilegiato divenne ben presto così affollato che mi chiedevo se avrei potuto mutare la mia posizione rattrappita a gambe incrociate. Se fossi rimasto lì per più di tre ore, come si prevedeva, le mie gambe si sarebbero bloccate in quella posizione e avrei dovuto essere portato via di peso.

Alle sei in punto, Sai Baba, accompagnato da un piccolo gruppo di discepoli, entrò nella Shanti Vedika e subito dopo cominciarono i discorsi. Parlarono alcune persone, una delle quali ricordo in modo particolare, un eminente studioso di sanscrito dell'India meridionale, Surya Prakasa Sastri. Non che capissi molto di quanto diceva, poiché parlava nell'antica lingua dei Veda, ma c'era qualcosa di affascinante nella sua faccia vigorosa e benevola di dotto e nel suo mantello di colore azzurro cielo.

Una quarantina di potenti riflettori illuminarono il gruppo sulla piattaforma, quando Baba si alzo. Prima intonò un canto sacro, con la sua voce melodiosa e celestiale che toccava il cuore, poi cominciò il suo discorso, parlando come al solito in telugu. Trentamila persone sembravano diventate un ascoltatore unico e pendevano dalle labbra di Baba, in assoluto silenzio, tranne quando egli raccontava una storiella, o scherzava su qualcosa. Allora un'ondata di risate scrosciava sulla distesa di volti illuminati dalle stelle. Sulla piattaforma il signor Kasturi era intento a prendere appunti del discorso che sarebbe stato pubblicato in telugu e in inglese.

L'eloquenza di Sai Baba fluì tranquilla per mezz'ora quando improvvisamente la sua voce ebbe un arresto. Egli cercò di continuare, ma soltanto un grido inarticolato gli usci dalla gola. Coloro che tra i devoti guidavano il bhajana, sapendo ciò che stava accadendo, immediatamente intonarono il noto canto sacro a cui l'immensa folla fece eco.

Baba si sedette e bevve un po' d'acqua da un'anfora. A più riprese cercò di cantare, ma non vi riuscì. Poi cominciò a dare segni di sofferenza: si contorceva e si rivoltava, metteva la mano sul petto, nascondeva la testa tra le mani, si tirava i capelli. Sorseggiò un altro po' d'acqua e cercò di sorridere per rassicurare la folla.

Il canto continuava con fervore, come se servisse a confortare e a sostenere Baba nel suo soffrire. Alcuni uomini intorno a me scoppiarono in pianto senza ritegno, e io stesso provai tenerezza per quell'uomo che pativa sotto i nostri occhi. Non potevo però cogliere appieno il significato dell'evento che causava quell'agonia, ne' forse lo poteva la maggior parte dell'immensa folla che vi assisteva. Ma, tra il comprendere intellettualmente una cosa e intenderne il significato nella
profondità delle proprie viscere c'è una grande differenza. Intuivo di essere al centro di un avvenimento che aveva un profondo significato per l'umanità.

Un'altra parte di me, più cauta e più razionale, non era ancora convinta che di lì a poco avrebbe avuto luogo un miracolo, sia pure di valore spirituale. Così, invece di bagnare i miei occhi con lacrime di simpatia, li tenevo incollati alla bocca di Baba; tutta la mia attenzione si concentrava in quel punto perché non volevo perdere l'uscita del linga, ammesso che uscisse proprio di là.

Dopo circa venti minuti, trascorsi con gli occhi fissi sulla bocca di Baba, mentre egli si contorceva, sorrideva, o faceva sporadici tentativi di canto, la mia attesa fu ricompensata. Vidi un lampo di luce verde uscirgli dalla bocca e, con esso, un oggetto che gli cadde tra le mani, appoggiate al di sotto a guisa di conca. Immediatamente sollevò l'oggetto, tenendolo tra il pollice e l'indice, perché tutti lo potessero vedere. La folla trasse un immenso respiro di sollievo. Era un bellissimo linga verde, di proporzioni tali che nessuno avrebbe potuto contenerlo nella sua gola.

Sai Baba lo mise in cima ad una torcia, in modo che la sua luce ne mettesse in risalto la vivida trasparenza di smeraldo. Poi, scomparve dalla scena. Sunderlal Gandhi, un giovane che fungeva da guida e che era diventato mio amico, mi condusse fuori da quella calca. Le gambe mi tremavano, ma mi sorressero fino alla foresteria. Quella notte fui svegliato a più riprese dai canti della folla assiepata intorno al linga illuminato di Siva, e quando scesi per la colazione essa si stava appena diradando. Mi imbattei in Gabriela Steyer, la quale mi informò che la maggior parte dei partecipanti all'immenso raduno era rimasta durante la notte in adorazione dell'oggetto formatosi miracolosamente nel corpo del loro guru, e simboleggiante la più alta divinità.

Siva è il dio degli yogi, colui che aiuta l'uomo a conquistare la sua natura inferiore e ad innalzarla fino al divino. Per operare un cambiamento del genere la mente deve essere domata. Si afferma che essa sia in relazione con la luna e che esista un periodo astronomico in cui l'astro notturno favorisce gli sforzi dell'uomo per trascendere la mente. Proprio in questo periodo, che cade in febbraio, si tiene la celebrazione di Siváratri. Ma, a Prasanti Nilayam la festività lunare è doppiamente propizia; non solo esistono le condizioni celesti richieste, ma il simbolo di Siva è reso visibile e concreto agli occhi di tutti, luminoso punto di convergenza che serve da supporto per lo sforzo supremo della meditazione.

E' interessante osservare a questo proposito che nella Uttaragita il Signore Krsna dice che "linga" deriva da lana, parola che significa unire.

Questo è il motivo per cui il linga rende possibile l'unione dell'io inferiore con l'io superiore e con Dio - con Jivatman e Paramatman.

Più tardi, il Raja di Venkatagiri, un devoto di Sai Baba e un profondo conoscitore dell'induismo, mi spiegò che era importante compiere regolari e corrette puja o adorazioni rituali del sacro simbolo. E poichè pochi potevano adempiere a quest'obbligo, la maggior parte dei linga di Sai Baba fu smaterializzata per ritornare al regno dell'immanifesto donde provenivano. Molti altri devoti suffragarono questa opinione.

Parecchi dei miei nuovi amici videro da vicino il linga, il mattino dopo la sua produzione. Dappertutto si faceva un gran parlare di esso, paragonandolo ad altri esemplari prodotti gli anni precedenti. Domandai che cosa ne fosse stato, e mi fu detto che alcuni erano stati regalati a devoti molto fedeli; di altri nessuno sapeva niente.

Ora, ero certo che alcuni erano in mano di qualche devoto e circa un anno dopo una seguace di Sai Baba mi mostrò un bellissimo linga di Siva proveniente dal corpo di Baba, che le era stato regalato. Essa lo portava con se, accuratamente avvolto in un panno, e non lo lasciava toccare a nessuno.

"Avete compiuto regolari puja per esso? " le chiesi.

"Si`", rispose, "Baba mi disse ciò che dovevo fare ed io l'ho fatto.

Non so perché me lo ha dato, poiché non ne sono degna". Capii, invece, che lo era. Baba, che scruta nella profondità di ogni cuore, sa chi è degno e chi no.

Io stesso potei esaminare il linga di Siva, un paio di giorni dopo la sua manifestazione. Mi ero recato con un piccolo gruppo alla Mandir per uno degli ambìti incontri con Sai Baba. Fummo introdotti in una stanza del pianterreno. Dopo qualche minuto entrò Baba e posò il linga sul davanzale della finestra perché tutti potessero vederlo. Era di color verde smeraldo, così come era apparso alla luce artificiale la notte della sua manifestazione. Kasturi, che si trovava sul palco della Shanti Vedika nel momento in cui fu prodotto, così lo descrive nel suo libro:

"Un linga di smeraldo, alto 8 centimetri e fissato su un piedistallo largo 13, emerse dalla bocca di Baba- per la gioia e il conforto ineffabile dell'enorme folla... ". Quando lo vidi sul davanzale non riuscii a capacitarmi come anche il grosso piedistallo fosse uscito dalla bocca di Baba, e valutai che le sue dimensioni fossero ancora superiori a quelle riportate da Kasturi.

Dopo che tutti avemmo osservato bene il linga, senza per altro toccarlo, Baba si accomodò su una sedia e noi ci sedemmo sul pavimento lungo le pareti. Io mi collocai alla sua destra, il più vicino che potevo.

Per un po' egli fece chiacchiere apparentemente frivole. Domandò a ognuno che cosa si attendesse da lui e rise ad alcune delle risposte.

Sembrava una madre in mezzo ai suoi figli, contenta solo quando può venire incontro ai loro desideri e farli felici, sperando al tempo stesso che essi imparino a desiderare i beni più importanti della vita, i tesori dello spirito.

Poi si voltò di colpo verso di me e disse in un modo provocatorio:

"Se ti regalo una cosa, tu la perderai? ". "No, Baba, no che non la perderò", protestai.

Si rimboccò la manica e agitò l'aria con la mano, quasi all'altezza dei miei occhi; potevo vedere benissimo, sia sopra che sotto, ma non scorsi nulla, finché voltando la mano egli non mostrò un grosso e lucente anello nel mezzo. Sembrava d'oro e d'argento; più tardi mi spiegò che quel metallo era pancaloha, una lega con cui sono fabbricate molte delle statue dei templi.

Affascinato, stesi la mano per accogliere il dono, ma egli ridendo porse l'anello a qualcuno che stava dalla parte opposta. Esso passò di mano in mano, e ognuno potè esaminarlo; molti anzi lo appoggiavano sulla fronte in segno di riverenza prima di consegnarlo al vicino. Quando tornò a Baba, egli me lo infilò nel dito medio. Era proprio della sua misura.

Mi sentii sprofondare, e ancor più quando vidi che la figura sbalzata in oro sull'anello era quella di Sai Baba, di Shirdi. Non avevo mai accennato a Satya Sai e a nessun altro del mio profondo affetto per il vecchio santo. Me l'aveva forse letto nel pensiero?

Subito dopo ci ricevette ad uno ad uno in un'altra stanza, in modo che gli potessimo porre i nostri problemi personali. Quando venne il mio turno, egli mi intrattenne, parlando della mia vita e della mia salute.

Sembrava essere non solo un padre e una madre, ma l'essenza della paternità e della maternità, l'archetipo di tutti i padri e di tutte le madri.

Era come se da lui emanasse un raggio d'amore che, penetrando nelle profondità del mio essere, scioglieva ogni durezza e ogni rigidità interiore. Sentii che questo era il purissimo e altissimo amore che è detto premán in sanscrito, espressione spontanea di ciò che nell'uomo vi è di più alto, la presenza divina.

Questa meravigliosa esperienza interiore si accordava con quanto mi avevano riferito molti devoti sui loro contatti con l'universale e insieme individualizzato premán di Baba. Così, al termine della mia visita alla "Dimora di grande pace", capii che questo taumaturgo era tutto fuorché un astuto illusionista o un "mago da strada" che ricorre a un limitato repertorio di trucchi per cavare qualche rupìa dai passanti.

Sai Baba non apparteneva a nessuna di queste categorie. Che cosa era allora? Ciò restava un mistero forse insolubile, in ogni caso una sfida per chiunque.
 

[...]

 
     
 

 

LIBRERIA DI MISTERIA

HOME