RUNE

scrittura, simbologia, mistero

 

 

Iscrizione runica dell'elmo di Negau (Austria) - VI sec a.C.

Le rune sono un'antichissima scrittura germanica, che compare in iscrizioni del II o III sec. d.C. presso gl'Islandesi, i Norvegesi, i Danesi, gli Svedesi, gl'Inglesi e i Goti. Se ne trovano in Romania, a Venezia, in Grecia, in Bosnia e altrove. Deriverebbero da un alfabeto etrusco settentrionale, di tipo chiusino. Questo venne conosciuto al nord attraverso l'alfabeto venetico del VI sec. a.C., derivato dalla scrittura etrusca.
La connessione fra rune e alfabeto etrusco pone un problema: quello della trasmissione. Le nostre rune più antiche possono risalire al massimo al II sec. d. C.: non se ne sono scoperte di anteriori. Come mai?
La più antica attestazione dell'uso delle rune ci è data dallo storico romano Tacito, del I sec. d. C. Egli, nella sua Germania, scrive che i Germani, per trarre gli auspici, «tagliano un ramo d'un albero da frutta in piccoli pezzetti, e li segnano con certi segni». Nel piovoso clima tedesco, come del resto in quello (pur meno piovoso) dell'Italia, il legno marcisce presto. Ecco perché dei pezzetti di legno di cui parla Tacito si è perduta la traccia.
Invece sono arrivate fino ai nostri tempi due iscrizioni, in alfabeto venetico, ma ormai fuori dal Veneto, incise su elmi di bronzo: l'elmo di Negau (Austria), e l'elmo di Vace (odierna ex-Iugoslavia) del VI o V sec. d. C. Tali iscrizioni si sono conservate proprio perché incise su oggetti di bronzo: esse ci portano, dunque, una conferma indiretta che a questa data si stava già formando l'alfabeto runico.
Prima dei mercanti romani, giunsero in Germania i mercanti etruschi, portando colà i prodotti meravigliosi della civiltà mediterranea. Probabilmente il nome tedesco del "minerale", Erz, non è che una forma germanizzata del nome della città etrusca di Arezzo, famosa per la lavorazione del bronzo. A quel tempo la scrittura giunta mediante gli Etruschi era considerata, dai popoli settentrionali che l'avevano adottata e che a lungo la riservarono per scopi magici, un'innovazione misteriosa, che li avrebbe aiutati e protetti e aiutati nelle crisi e nei pericoli della loro vita.
 

Iscrizione runica dell'elmo di Negau (Austria) - VI sec. a.C.

L'uso magico restò in funzione, e la parola RUNA mantenne il suo significato di "segno misterioso". Questi segni magici venivano incisi per esempio sulle punte delle frecce, per renderle più efficaci; o sugli elmi di bronzo, perché proteggessero il loro padrone. Spesso un popolo che ha appena imparato a scrivere considera che i segni sono belli, decorativi, misteriosi e magici. Le rune ritennero sempre questa forza magica, fino a tempi quasi moderni.

Le donne avevano un talento particolare nell'impiego delle rune, come attesta il nome, assai frequente ancora in Germania e in Inghilterra, di Gudrun, "Buona Runa". L'impressione che le donne fossero specialmente rispettate in questo campo è confermata da Tacito, che dice nella Germania:  «Considerano poi che le donne hanno un dono inspiegabile e profetico; non si vergognano di consultarle e prendono sul serio i loro responsi».

Anche l'ambra, considerata magica e medicinale, veniva in varie culture riservata alle donne. Ne sono state trovate grandi quantità in tombe di donne in Etruria, nella Slovenia e in altre regioni dove veniva importata dal Baltico. Una perlina di ambra trovata a Weimar che recava incisa un'iscrizione runica è interessante in questo contesto.

Nel corso dei diciotto secoli durante i quali furono usate le rune - si adoperavano ancora nel secolo scorso in Scandinavia - ne sono stati creati degli esemplari bellissimi, alcuni molto curiosi (come il Codex Runicus, un manoscritto scritto interamente con i segni runici). Oggi sappiamo che questa fioritura culturale ha la sua origine nell'Italia antica, presso gli Etruschi.

Tratto da "Le rune: origini di un mistero", di G. Bonfante, ARCHEO, n°29,  luglio 1987.