Dendera

 Traduzioni e analisi sul mistero dei bassorilievi

a cura di Diego Barucco

 

 

Introduzione

I celebri bassorilievi del Tempio di Hathor a Dendera sono statti da sempre al centro di una disputa a causa di una fitta ombra che ha avvolto il significato di queste rappresentazioni uniche nel loro genere, almeno per ora, in tutto il panorama artistico presente nei monumenti dell’antico Egitto. Le interpretazioni fornite sono state molteplici nel corso del tempo, la più sostenuta, soprattutto fra in non addetti ai lavori, spiegava come questi bassorilievi rappresenterebbero delle lampade ad incandescenza o tubi per l’emissione di raggi X, non solo per la somiglianza estetica ma anche per un sorta di raffigurazione tecnologica di vari costituenti che richiamassero la modernità: “cavi di trasmissione” o “generatori elettrici” ecc…

Il tutto è basato sul fatto che si suppone che gli antichi fin dai tempi più remoti conoscessero l’energia elettrica e che in questo caso ne facevano un uso, un ipotesi avvallata anni fa dalla scoperta sensazionale della famosa pila di Bagdad.

L’ipotesi del fatto che i bassorilievi di Dendera riproducano delle lampade è giustificata se si segue un certo ragionamento interpretativo basato su una convergenza tecnologica messa a confronto con le apparecchiature moderne alle quali esse assomigliano. Pertanto non è affatto giustificata se si riconsiderano le motivazioni per le quali gli egizi erano portati a scolpire sulle pareti i bassorilievi all’interno dei loro templi, tali motivazioni infatti avevano il fine di arrivare ad un linguaggio figurale che fosse in grado di trasmettere devozione o al suddito o elogio agli dei.

L’immagine simbolica negli antichi egizi è sempre stata alla base della comunicazione come linguaggio divino, essa anche se apparentemente semplice, non è mai casuale ma qualsiasi elemento in una determinata posizione e collocazione assume un significato ben preciso.

L’idea di lavorare su questi bassorilievi è stata stimolata spontaneamente leggendo l’articolo del prof. Malanga “Il dio serpente, la casa della vita e l’immortalità” nella quale si proponeva una diversa interpretazione che aveva come riferimento il fenomeno dell’abduzione. Riflettendo su ciò, il passo fondamentale, stranamente non preso in considerazione in alcuno studio su questi bassorilievi, era la lettura e la traduzione dei glifi che si trovavano in corrispondenza delle figure delle presunte lampade; era lì che si doveva andare a cercare la chiave di lettura per capire il motivo delle raffigurazioni e per cercare di dare luce al mistero.

Abbiamo cominciato una vasta ricerca in internet di immagini dei bassorilievi di Dendera con lo scopo di trovare qualcuna utile onde poter ben leggere le scritte.

La quasi totalità delle immagini trovate in rete aveva una qualità così bassa che risultava inutile ogni tentativo di utilizzo. Fondamentale era che le immagini dovevano presentarsi ad un’alta risoluzione e ben definite possibilmente con una certa angolazione della luce tale da permettere l’identificazione precisa dei simboli.

Uno problema (necessario) della lingua egizia antica è che esistono quasi un migliaio di simboli, determinativi e non, molti dei quali sono estremamente simili fra di loro se non per lievissime differenze e piccoli dettagli; le raffigurazioni molto spesso eseguite in tempi successivi o precedenti possono rappresentare lo stesso simbolo variando leggermente la forma complessiva o addirittura, nel corso del tempo, passando dallo ieratico (scrittura egizia manoscritta, l’equivalente del nostro corsivo) e ritornando alla classica rappresentazione pittorica, il simbolo può trovarsi sostituito da un altro o confondersi con un altro simile. Tali casi sono più frequenti di quanto possa sembrare. Questo è espresso solo per sottolineare la difficoltà iniziale nella quale ci siamo imbattuti in principio e che per tamponare il più possibile si è cercato di mettere a confronto varie immagini con angolazioni diverse.

Man mano che si procedeva nella ricerca delle immagini ci siamo accorti che vi erano delle interessanti differenze in molte immagini, sembrava infatti che il bassorilievo di Dendera famoso non fosse unico ma che si trattasse di tre diverse rappresentazioni della medesima cosa, in definitiva in tutta la ricerca siamo riusciti distinguere l’esistenza di tre distinti bassorilievi probabilmente provenienti dalla medesima cripta nel tempio di Hathor a Dendera.

I tre bassorilievi differiscono l’uno dall’altro per la variazione di elementi precisi che esamineremo in seguito.

Un’altra questione che saltava all’occhio era il fatto che le raffigurazioni di questi bassorilievi erano sovente tagliati nella parte superiore là dove erano presenti le scritte e la parziale ricostruzione delle colonne dei glifi poteva essere eseguita solo estrapolandola in un confronto parallelo fra le varie foto a media risoluzione trovate. Finché un caso fortuito ci ha condotto ad un sito tedesco nel quale erano presenti due immagini di due distinti bassorilievi (bassorilievi denominati Dendera 2 e Dendera 3) completi delle scritte ad una risoluzione e angolazione della luce accettabili tanto da permetterci in buona approssimazione la decifrazione dell’80% delle scritte.

Rimangono tutt’ora sconosciute le scritte di Dendera 1 ad eccezione di una laterale che vedremo.

Abbiamo effettuato dei miglioramenti alle immagini con lo scopo di aumentarne la definizione con l’incremento della risoluzione ed un successivo lavoro di sfocatura e messa a fuoco tale da frammentare sempre di più il contenuto in pixel dato dalla manomissione della risoluzione (con un l’aumento dei pixel per lato per almeno il triplo dell’originale), poi una successiva ritoccata alla luminosità e contrasto. Ci siamo serviti del programma Photoshop 7.

Pur tuttavia rimangono delle lacune colmabili sono avendo nuove immagini a più alta risoluzione o con diversa angolazione della luce.

Per le traduzioni si è utilizzato i seguenti testi: Egyptian Grammar del Gardiner e Conincise dictionary del middle Egyptian del Faulkner, ciò serve per dire che il lessico utilizzato per le traduzioni proviene essenzialmente da questi testi. Come tale va sottolineata la questione che molto spesso è stato utilizzato un lessico corrispondente alla componente accademica dello studio la quale non contempla un’altra possibile interpretazione per il vocabolo. Intendiamo una interpretazione che metta in luce possibili conoscenze tecnologiche egiziane. Per capirci facciamo un esempio. Se immaginiamo che gli egiziani conoscevano la batteria elettrica e il suo uso, è chiaro che non esprimevano il termine “batteria” o “elettricità” ma comunicavano il concetto con un termine che in qualche modo ne spiegasse la funzione e che fosse legato da una affinità. Pertanto verranno segnati, nel corso della presentazione delle traduzioni, i vocaboli che potrebbero indicare una ulteriore interpretazione. Per correttezza il testo verrà proposto comunque nella traduzione letterale.

Là dove non siamo riusciti a comprendere l’identità dell’ideogramma a causa di una forte incertezza di attribuzione data dai limiti della foto abbiamo inserito le due parentesi quadre. Là dove invece il simbolo è visibile ma di dubbia attribuzione per lo non perfetta chiarezza abbiamo inserito, accanto al termine, un punto interrogativo chiuso fra due parentesi tonde.

Per concludere questa breve introduzione, voglio ringraziare a tutti gli amici del gruppo Stargate e gli amici della chat del sito di Sentistoria per il sostegno e la fiducia datami per questo lavoro, nonché il loro aiuto per il materiale fornito e l’eventuale materiale futuro.

 

Bassorilievo Dendera 1

Il primo bassorilievo che andremo a trattare, è stato denominato Dendera 1 in modo da non creare confusione.

C’è da premettere innanzi tutto che un'attenta analisi dei bassorilievi ha portato a far supporre una certa sequenza cronologica fra i tre bassorilievi, dico supporre perché al momento non abbiamo idea dell’esatta collocazione dei singoli bassorilievi all’interno della cripta, né dei loro reciproci rapporti con eventuali altre raffigurazioni ad esso annesse; non possiamo stabilire neanche che tutti e tre i bassorilievi facciano parte della stessa cripta. Al momento, dall'esame del materiale che abbiamo a disposizione, non possiamo stabilire con certezza una cronologia fra le tre raffigurazioni come se fossero tre sequenze, ma siamo portati a credere che lo fossero.

In Dendera 1 troviamo la presenza di una sola “lampada” contenente un serpente il quale ha la testa piegata all’indietro, la lampada sembra poggiata su una torre Zed (lett: Djed) dove sulla sommità fuoriescono due braccia che toccano il serpente. Al disotto della lampada ci sono tre figure umane che poggiano il capo sotto la lampada: due uomini inginocchiati l’uno di fronte all’altro che si toccano al livello delle mani e una donna seduta.

A destra dello Zed, su un pilastro, c’è una figura antropomorfa con le braccia rivolte verso il cielo con il simbolo del disco solare sul capo.

La lampada è collegata, nell’estremità inferiore, da un prolungamento della base che la collega al pilastro della figura vista poc'anzi con le braccia alzate. Alla base, sempre della lampada, troviamo una raffigurazione umana identificata come un sacerdote.

La lampada è rivolta contro una figura antropomorfa ma dall’aspetto che sembra richiamare fattezze di rettile e di felino, tale figura impugna nelle sue due mani due coltelli rivolti verso la lampada; è da notare la posizione di questa figura che non è rappresentata nei canoni classici di una postura divina con la testa e i piedi di profilo e il busto e l’occhio di fronte bensì è messa totalmente di profilo (fig.2).

Per una visione globale del bassorilievo ho voluto riportare le due figure 1 e 2 per un motivo essenziale. In fig. 1 si vede che sul bordo in alto si intravedono la parte finale di una serie di colonne con delle scritte mentre nella fig. 2, presa tra l’altro da un'angolazione migliore, non si notano per nulla, si evince solamente la presenza delle colonne all’interno delle quali si trovano le scritte. Non si può al momento stabilire se si tratta di una deliberata e volontaria opacizzazione della foto oppure della diversa colorazione dei blocchi (in parte in fig.1 si nota nell’angolo in alto a destra un cambio di colore dei blocchi), fatto sta che di questo bassorilievo al momento non abbiamo nessun’altra immagine che ci possa mostrare le scritte superiori.

Le uniche scritte visibili sono due: una breve al disopra della lampada e l’altra accanto alla figura antropomorfa con i coltelli in mano.

 

 

 

 

 

 

Figura 1

 

  Figura 2: La traduzione della colonna è:

"Per eliminare la distruzione dei forti pilastri della terra, per eliminare la distruzione del valore dell’uomo contro tutti i nemici, dalla distruzione dell’orizzonte là dove sorge il sole”

    Figura 3: “Oro offerto all’arma”

  

Commento

Per ogni bassorilievo è stato aggiunto questo paragrafo affinché si possa in un certo qual modo discutere nell’insieme il problema, cercando di tirare qualche somma con spirito di logica.

Iniziamo subito con gli elementi  fondamentali presenti che a nostro giudizio appaiono come punti cardine.

Il primo elemento è la lampada che in realtà, in veste simbolica, non è una lampada bensì raffigura il fiore di loto, un simbolo molto importante e molto antico della tradizione egizia, il secondo elemento, contrapposto, è la figura antropomorfa di più difficile identificazione.

Il fiore di loto è il simbolo associato alla luce come emerge dalla leggenda egiziana la quale narra che dalle acque primordiali del Grande Spirito (Nun) della vita, si erse un fiore di loto al cui interno vi era assiso il dio sole che nasceva; un’ottima parafrasi della nascita della vita intesa come manifestazione di luce.

Il serpente al suo interno, invece può avere diverse interpretazioni, qui di seguito riportiamo un breve elenco:

 

1) creatore, o la più antica manifestazione dello spirito emergente;

2) mostro che deve essere sconfitto prima che si possa dire che il mondo sia veramente in ordine;

3) Sata, dio serpente che circonda il mondo con molte spire, o con la coda in bocca;

4) Spirito o custode della terra e del mondo sotterraneo;

5) Nemico cosmico, il dragone Apopis, che personifica i poteri delle tenebre, e deve essere respinto ogni giorno all’alba e al tramonto;

6) Spirito della fertilità, specialmente nella forma del dio del grano;

7) Dio dell’Acqua, vivente specialmente nelle caverne fuori dalle quali si pensava scaturisse la piena del Nilo;

8) Segno distintivo del non-umano, in quanto è una creature primordiale e vive nella terra buia e nelle profondità delle acque, misterioso e ostile, e possibilmente molto saggio.

 

Sommariamente dall’elenco emergono due versioni del simbolo del serpente, una intesa come nemico e demone, l’altra come principio creatore.

Un significato che tra questi che ci interessa è senz’altro il primo dell’elenco in quanto sembra essere strettamente legato al concetto di fiore di loto così come lo abbiamo espresso poc’anzi. Se ammettiamo quindi che il serpente rappresenti la vita rinchiusa nel simbolo della luce, viene spontaneo attribuire al fiore di loto un significato molto più profondo. La struttura del fiore di loto con il serpente rinchiuso diviene un contenitore di vita nascente, un po’ come la versione egizia di una provetta con materiale genetico; non si vuole però qui alludere al fatto che gli egizi avessero conoscenze così avanzate di biologia come potrebbe sembrare, ma le somiglianze sembrano strettamente convergere in tal senso, come se esistesse una percezione atavica o archetipica, o che tali conoscenze siano state infuse e interpretate. Rimaniamo comunque sempre nel campo dell’ipotesi.

Prendendo quindi come punto di riferimento questa interpretazione passiamo all’analisi degli elementi e delle scritte.

La traduzione della scritta accanto alla figura antropomorfa è una sorta di preghiera rivolta sia al fiore di loto che alla figura la quale, in questo caso, assume il ruolo di nemico che con i coltelli in mano simbolo di distruzione cerca di aggredire simbolicamente due concetti essenziali. Se esaminiamo la scritta i due concetti emergono perfettamente e non a caso la figura antropomorfa è stata proprio rappresentata con due coltelli in mano.

Il primo concetto è: “…la distruzione dei forti pilastri della terra…” intesa come un’aggressione alle basi della terra e quindi, in una visione egizia, alle basi della società e del regno. Il secondo concetto è: “…la distruzione del valore dell’uomo contro tutti i nemici…” riferita al coraggio dell’uomo e quindi all’essenza dell’uomo stesso propria della sua capacità di progresso. Entrambe le immagini vengono accomunate da una terza, che infondo è l’equivalente della distruzione di tutto dove fa capo il concetto di orizzonte dell’alba, quindi della luce e quindi a sua volta della vita nascente.

L’idea di distruzione è identificata simbolicamente dal coltello che può virtualmente tagliare il fiore di loto.

Sembra quindi che il fiore di loto, alla luce di quanto detto fino ad ora, assuma più l’aspetto di un’arma piuttosto che di una semplice lampada o fonte di raggi X, cosa che ci è confermata dalla scritta che si trova al disopra della lampada che letteralmente dice: “Oro offerto all’arma”, così come riporta il vocabolario del Faulkner. Un’arma un po’ strana che ha alla base i principi di vita e di luce.

Ma esaminiamo un altro aspetto interessante presente nella scena. Non si può fare a meno di notare la presenza dello Zed che sorregge il fiore di loto e dal quale escono due braccia che toccano il serpente. Per un approfondimento ulteriore sul concetto di Zed rimandiamo alla lettura del libro di Pincherle “La piramide e lo Zed”.

Se si cerca nel vocabolario del Faulkner alla voce Djed (trascritto dalla traslitterazione del termine geroglifico) vediamo che il primo significato riportato è appunto la sacra colonna dello Zed seguito dal significato di “durabilità” e “stabilità”. Lo Zed è appunto l’insieme di queste due immagini e non a caso esso è posto proprio a sorreggere il fiore della luce e della vita, ma c’è di più.

Lo Zed ha assunto inoltre diversi significati sacri nel corso del tempo e nell’evoluzione culturale, ha rappresentato infatti anche il simbolo dello stesso dio-faraone Osiris: egli dopo morto fu fatto a pezzi dal dio Set e ricomposto dalla moglie Iside, Osiride continuò a vivere e quindi a perdurare nel tempo.

Altro aspetto molto importante visibile sono le due braccia che fuoriescono dallo Zed le quali toccano (senza sorreggere) il serpente che si trova all’interno con la testa piegata all’indietro. Se andiamo a cercare un simile simbolo fra le centinaia di determinati della lingua egizia antica ritroviamo che le due braccia rivolte verso l’alto, altro non sono che il simbolo dello spirito che anima la vita. Pare che questa rappresentazione abbinata allo Zed, esprima la manifestazione non statica dello spirito stesso. Si è inoltre notato che in altre scritte provenienti dal tempio di Hathor il termine “soffio” è spesso abbinato allo Zed come se esso fosse la fonte primaria di questo flusso spirituale, fatto sottolineato anche dalla traduzione di questi bassorilievi.

Se però entriamo nel dettaglio alla ricerca del significato di “soffio” troviamo un aspetto interessante della questione. Secondo gli egizi, gli Dei non sarebbero potuti esistere senza un supporto materiale che li raffigurasse: una statua o un'immagine era strettamente necessaria; a questi oggetti era impartito il soffio di vita dal sacerdote ogni mattina il quale “rendeva al Dio la sua anima” mediante un abbraccio. Ecco quindi il significato delle due braccia rivolte verso l’alto sia in questo bassorilievo sia come simbolo di spirito nella lingua egiziana.

Altro elemento di primaria importanza è la figura antropomorfa posta sopra un specie di pilastro che con un braccio contribuisce a sostenere il fiore di loto.

Il significato simbolico associato a questa figura si scinde in due astrazioni affini se pur diversi. Nel linguaggio egizio rappresenta o un numero pari al milione oppure un numero così grande da non essere quantificabile, invece nel panteon egizio è il Heh che associato a milioni di altri Heh assume il simbolo della pervasività dell’aria o l’aria stessa; non è proprio il Dio dell’aria ma l’insieme dei suoi componenti come se vi fosse qui l’intuizione che l’aria fosse costituita da tante singole parti. La collocazione nel quadro sembra strana in quanto il fiore di loto nasce proprio dalla base dal pilastro sopra il quale si trova il Heh. Dal canto nostro esso esprime una quantità, un numero simbolico enorme che ci porta inevitabilmente a cercare di comprendere a che cosa esso sia abbinato. Molto interessante a questo punto è vedere la sua relazione con il fiore di loto; vediamo in fatti che il gambo del fiore di loto si collega alla base sopra la quale abbiamo il Heh, quindi è come se in un certo senso dipendesse da questo. E’ possibile che il Heh rappresenti l’aria stessa dalla quale dipende la vita e nella quale nasce il sostentamento della vita, una rappresentazione fisica e non divina.

Nel panteon egizio l’aria è rappresentata da due divinità: Shu dio dell’aria secca che separa la terra (Geb) dal cielo (Nut), e Tefnut dea dell’aria umida raffigurata con aspetto leonino.

Indicativamente possiamo associare questo concetto, anche alle immagini dei due uomini e della donna sotto il fiore di loto come la totalità del genere umano e la sua sopravvivenza ad esso.

Il gambo del fiore di loto passa sia al disotto dello zed sia al disotto delle figure umane. I due uomini sono inginocchiati l’uno di fronte all’altro con le mani che si toccano come un puro riferimento all’unione umana e alla laboriosità mentre la figura femminile, sacra per gli egizi, è raffigurata nella posizione di partoriente così come era intesa dal popolo egiziano.

In fin dei conti le tre figure sotto il fiore rappresentano proprio l’insieme dell’umanità, da un lato l’attività dell’uomo dall’altro il compito della donna di generare la vita.

Ma come possiamo interpretare ciò nell’insieme globale della scena?

A ben guardare gli elementi di cui abbiamo parlato poc'anzi che sostengono il fiore di loto con il serpente all’interno, è che essi fungano come da cooperazione fra la vita divina e l’umanità e che in seguito tale luce ritorna nell’uomo chiudendo il ciclo con la nascita.

Riuscire ora a far quadrare il cerchio con il discorso precedente dell’arma diventa assai arduo per tutte le implicazioni simboliche annesse.

E’ forse un'arma biologica a base di luce e di vita che trae il suo “nutrimento” sia da un influsso divino (vedi lo Zed), sia dall’influsso umano (vedi le figure sotto il loto), sia da un influsso fisico (vedi il Heh), essa vive per contrastare un nemico che non sembra “umano”. Diviene un’arma posta simbolicamente a fronte della minaccia per salvare dalla distruzione il valore “umano” e il mondo. L’uomo non può contrastare la divinità ma è la divinità che può contrastare sia l’uomo che se stessa oppure l’unione delle due cose.

Qui ci fermiamo poiché siamo già al di là della semplice congettura, non abbiamo altri elementi per cercare di stabilire l’identità della figura antropomorfa con i coltelli.

Osservando però il bassorilievo della rappresentazione della volta celeste collocato a Dendera ed ora al Louvre, questo essere dall’aspetto serpentiforme riappare sottoforma di costellazione associata al Drago, possiede guarda caso, un coltello in mano con la punta rivolta verso il basso e differisce da quello del bassorilievo studiato in quanto sembra riprodurre una femmina incinta.

Nell’iconografia classica il drago è un essere dalle zampe di leone e ali e coda di serpente: pare che in alcuni punti questa iconografia coincida.

Thuban rappresenta l’alfa Draconis stella polare delle prime dinastie egizie e che va a coincidere con l’estremità del manico del coltello del Drago.

 

Bassorilievo Dendera 2

Passiamo quindi al secondo bassorilievo. Qui troviamo sommariamente gli stessi elementi del precedente ma con delle variazioni. Innanzi tutto i fiori loto sono due, entrambi rivolti nello stesso senso in direzione della figura antropomorfa rettiloide già vista nel precedente bassorilievo; particolare da rendere certamente noto e che in questo caso la figura rettiloide ha in mano un solo coltello e si trova nella stessa postura di prima.

Il fiore di loto sulla sinistra, innanzi al sacerdote situato presso la base, ha all’interno il serpente con la testa rivolta in avanti, il tutto è retto dalla torre Zed che non poggia direttamente sulla base dell’ultimo livello (il livello quattro) ma con una piccola cunetta che fuoriesce dalla cima. Una mano dello Zed (quella a sinistra) è nascosta dietro il fiore, l’altra invece ben visibile.

Al disotto del fiore di loto troviamo la rappresentazione di un uomo inginocchiato che tende un offerta. Al disopra troviamo due scritte verticali una più vicina, probabilmente riferita al fiore di loto, l’altra più lontana poco leggibile e di dubbia traduzione.

Accanto, sulla destra, troviamo lo stesso fiore di loto “controllato” da un sacerdote; al suo interno distinguiamo il solito serpente il quale stavolta ha la testa piegata all’indietro proprio come il bassorilievo precedente; il fiore è retto da una torre Zed “spenta” senza braccia, il fiore poggia direttamente sulla torre.

Al di sotto del fiore vi sono due figure umane in ginocchio l’uno contro l’altro che si toccano a livello della mano.

I due fiori di loto sono comunicanti collegati entrambi con un unico gambo alla base della torre che tiene in cima il Heh. Il Heh, sebbene l’immagine sia un po’ rovinata, sembra tenere con un braccio l’estremità del fiore.

“Horus che unisci le due terre e le regioni, la Corona Rossa1…[…]…figlio della terra…[…]…il suo viso dal fiore di loto contenente il corpo per lui. Proteggi dalle sue braccia il soffio2 delle due forme, il viso dell’uomo e la forma di molti3 per il suo corpo…[…]…egli porta sulla prua della sua barca sacra il vessillo con il nome di Horus…lacuna…il soffio del viso alla terra della città di Eileithyas(?)4…[…]…il soffio delle sue braccia e il soffio dei suoi genitali. Le forme simili sono assemblate5, ora il principe del fiore di loto…[…]…”

Note

      1)       La Corona Rossa è il simbolo della terra del sud, forse nella scritta fa anche riferimento a una o a più città ma risulta illeggibile.

2)       Termine spesso associato allo Zed, con molta probabilità indica lo spirito o la sua manifestazione.

3)       Inteso anche come un numero non quantificabile, forse riferito al Heh.

4)       Il nome di questa città è assai dubbia per l’illegibilità di alcuni ideogrammi, potrebbe fare riferimento alla città di El-kab

5)       Da intendersi anche come “complete”

Commento

In questo bassorilievo la situazione si articola per la comparsa del secondo fiore di loto che sembra essere generato dal primo o forse dalla donna partoriente vista prima.

Ma come riuscire tecnicamente a discernere il primo dal secondo sempre se si tratta di una fase della stessa sequenza?

Naturalmente rimaniamo nel campo delle ipotesi e sfruttiamo qualche indizio che ci proviene dall’osservazione generale e dal confronto con i due bassorilievi.

Esiste una correlazione fra la manifestazione del soffio, sicuramente inteso come soffio spirituale di vita, e la posizione della testa del serpente del fiore di loto, infatti quest’ultimo è attivato attraverso il contatto con le braccia (spirito) dello Zed.

In Dendera 1 lo Zed tocca direttamente il serpente con le braccia attraversando l’ampolla del fiore, qui invece le braccia si limitano semplicemente a toccare l’ampolla dall’esterno come per mantenerne l’attività. Lo spirito quindi dà vita e la mantiene.

Questo primo fiore di loto descritto sembra essere quello in Dendera 1: primo per i fatto che esso è attivato, secondo, in riferimento alla scritta sopra di esso che forse ci fornisce un trascorso temporale.

In questa fase abbiamo la conferma che lo Zed assume la funzione di attivazione del serpente e del suo mantenimento.

Il secondo loto al contrario non è attivo, quindi seguendo la logica precedente, esso diviene presente in questa sequenza come fosse generato in un secondo tempo e che attenda l’attivazione da parte dello Zed che lo regge.

Notiamo un aspetto importante che riguarda la coincidenza fra l’attivazione del serpente e la scomparsa di un coltello dalle mani del rettiloide. L’attivazione del fiore annulla uno dei riferimenti legati al male.

Teniamo presente che tali considerazioni sono fatte considerando a priori che i bassorilievi si trovino nella medesima cripta e disposti in un certo ordine che indica possibilmente una sequenza.

Ciò che invece è nella traduzione dei glifi superiori, sebbene frammentaria, ci fornisce un primo elemento utile riguardo alla funzione “pratica” del fiore di loto. Esso è una sorta di contenitore che cela all’interno un corpo dal quale si estrae il “viso”, così tradotto letteralmente.

Il termine “viso” sicuramente ha significato ben più profondo, legato all’individualità che distingue apparentemente tutti gli esseri umani mentre il corpo e soprattutto la sua forma è il carattere che accomuna gli esseri umani così come si evince dalla scritta “…il viso dell’uomo e la forma di molti per il suo corpo...”.

Da un lato abbiamo il “viso” dall’altro abbiamo le “forme di molti” necessarie per la costruzione forse di un essere vivente non ben identificato che nel nome di Horus viene generato. Una volta creato interviene il “soffio” o anche lo spirito che lo anima in tutti suoi componenti e di conseguenza le forme qui “simili” divengono un tutt’uno. Nella scritta si fa riferimento ad un “principe” associato al figlio di un faraone o forse ad un essere eletto.

Si evince da questi dati che il significato generale fin qui esposto sembra vertere verso le fasi della costruzione e della nascita di un essere o più esseri. Ricorda in qualche modo, per fare un collegamento, la funzione del Cristo metà uomo e metà Dio, venuto sulla terra per salvare gli uomini dal peccato e dalla corruzione, che nella mitologia egizia sembra ritrovarsi nella figura di Osiride che aiuta gli uomini insegnando loro l’agricoltura e le scienze.

Si parlerà quindi della nascita o rinascita di Osiride o altro? Il fatto è che in tutte le traduzioni effettuate non si è trovato il nome di Osiride o un qualche riferimento a lui e ciò la dice lunga sulla non appartenenza alla leggenda osiriaca, ma gli elementi sono ancora pochi per provare a dare risposte certe almeno su questo fronte.

Un’ultima breve discussione va affrontata riguardo le raffigurazioni dei sudditi ai piedi dei fiori di loto. Notiamo come nel fiore di loto sulla sinistra (quello attivato) è posto un uomo in offerta che si prostra all’evento divino, nell’altro abbiamo le due figure una contro l’altra che si toccano con le mani in un possibile ritorno al significato di laboriosità e cooperazione in funzione del fatto che il fiore di loto non è attivato e quindi che esso dipenda inizialmente dal contributo dell’uomo, così come in Dendera 1.

Non troviamo però la donna in posizione partoriente, sarà che servisse per la produzione o nascita del secondo fiore di loto?

 

Bassorilievo Dendera 3

 

Arriviamo all’ultimo bassorilievo conosciuto, almeno fino ad ora.

In questo bassorilievo ritroviamo gli stessi elementi visti in precedenza con la differenza che essi sono disposti in modo diverso. Come vediamo in figura i due fiori di loto sono disposti non più nello stesso verso ma l’uno contro l’altro. Inoltre l’immagine del rettiloide non c’è più, anche da come si vede da diverse foto prese da angolazioni differenti.

Esaminiamo ora nel dettaglio che cosa mostra Dendera 3.

Il fiore di loto sulla destra è sorretto sempre da una torre Zed con le braccia in fuori e con all’estremità la cupoletta; al disotto troviamo un suddito in offerta mentre di lato il solito sacerdote. La scritta in alto breve, riguardante l’offerta, è identica a quella del precedente fiore di Dendera 2. Il serpente all’interno è con la testa rivolta in avanti e quindi attivo.

Nel fiore posto a destra, più meno speculare al precedente, si differisce solo dall’elemento di sostegno che qui è costituito dal Heh, e che il gambo nella sua porzione finale, prima di collegarsi al pilastro del Heh, si solleva da terra.

Fra la base dello Zed e quella del Heh si nota una sorta di piccolo dislivello che potrebbe essere dovuto al fatto che il gambo del fiore a destra si colleghi anch’esso al pilastro Heh passando al disotto dello Zed. Ipotesi più che plausibile ritenendo valide le considerazioni fatte prima sulla funzione del Heh. Il gambo non è messo in evidenza forse per non ricreare un dislivello con le figure susseguenti non visibili in foto.

Anche questo fiore di loto presenta il suo serpente all’interno attivo con una figura in ginocchio in segno di offerta in basso (forse una donna?). Cambia solamente la scritta in alto.

  “Oh! Horus la tua parola unisce le due terre, grande io che sei nella città…[…]…il serpente1 è figlio della vita per il tempo della vita del fiore di loto2. Dalla barca sacra del dio-sole3 le due braccia dello Zed, la sua bellezza è grande per il soffio…[…]…lo spirito degli Dei è al disopra del loro cielo…[…]…”

Note 

1)   Molto probabilmente indica il serpente all’interno della “ampolla” in quanto l’ideogramma determinativo è assai simile alla forma del serpente del bassorilievo e differisce da quello comunemente in uso per esprimere il sostantivo “serpente”, quest’ultimo viene rappresentato con la testa rivolta verso l’alto.

2)    Si riferisce alla durata di vita del fiore di loto come assoluta dipendenza.

3)    Potrebbe fare riferimento ad una durata temporale riferita al singolo giorno in quanto il dio percorre la volta celeste portando con se il sole, o semplicemente alla luce solare durante il giorno.

“Oh Horus, la tua parola unisce le due terre, grande dio della luce, che sei nella città(?)…[…]…le due braccia dei principi degli Dei per la luce(?)…[…]…la barca sacra, la luce irradia nella sua sembianza vivente…[…] …i suoi Dei. Ora dall’amore si formano le meravigliose parti del corpo (organi). I raggi divini della luce solare dell’uovo della Grande Signora*, si espandono dall’ampio cielo di Nut dei figli(?), ovvero coloro che pregano e adorano che le parti del corpo prendano forma. L’intenso soffio di luce(?) ritorna dalla barca sacra(?) del suo serpente, molti nomi…[…] …a loro le forme corporee…[…] …”

*       Generica divinità femminile associata alla figura del cobra. Forse cobra emblematico del regno preistorico del basso-egiziano, Uraeus, la dea Uto dal quale forse deriva Buto che letteralmente significa “casa del [dea] Uto”, città del basso Egitto e che è sede della leggenda osiriaca.

Commento

Gli elementi, quali le attivazioni del secondo serpente e la mancanza del rettiloide, caratterizzano le maggiori differenze rispetto a Dendera 1 e 2. Appare possibilmente verificata un interrelazione fra questi due componenti così come avevamo supposto in precedenza.

Pare qui che la luce e la vita abbiano spazzato il male e il nemico, ma la cosa non sembra così semplice leggendo i testi che appaiono al disopra delle figure.

La prima cosa che traspare leggendo le traduzioni in questo bassorilievo è la presenza della luce come se essa d’improvviso rivelasse la sua magnificenza e realizzasse la vita nell’incrocio dei due fiori di loto. Lo notiamo soprattutto nella seconda serie di colonne quelle denominate con il numero 3, leggiamo infatti all’inizio: “Oh Horus, la tua parola unisce le due terre, grande Dio della luce…”, viene qui specificato rispetto alla serie di colonne denominate con il numero 1, la grandezza di Horus in relazione alla luce emessa. Esprime il trionfo della luce e della vita, la realizzazione dell’essere nella sua piena potenza e divinità.  Abbiamo proprio la conferma della costruzione e della nascita di un essere completo di tutte le parti del corpo viventi e che vive per mezzo della presenza materiale, che ha bisogno dell’aria da un lato e dello spirito dall’altro.

L’aria, la forma corporale intesa come molteplicità che si diffonde e da sostegno ad entrambi i fiori, e il “soffio della vita”, lo spirito presente in una parte di essi che fornisce la vita a tutto.

Un elemento senz’altro interessante, presente nella traduzione 3 è la figura dell’uovo partorito dalla Grande Signora e che irradia luce su tutto il mondo e che illumina e dona vita agli esseri viventi. Per Grande Signora è il riferimento ad una femminilità generatrice ma con identità generica di cobra, il cobra assume un significato divino di carattere femminile.

In seguito sebbene tra qualche lacuna, si narra di “molti nomi”, indicando la generazione che si propaga e si moltiplica assumendo nome (indicato nel determinativo di cartiglio e quindi nome regale).

Riguardo invece alle offerte scritte al di sopra dei singoli fiori, abbiamo notato prima come quelli relativi al fiore di destra risultano identiche a quelle del fiore attivo di Dendera 2, ciò potrebbe far pensare che sia lo stesso fiore solamente trasposto in una nuova sequenza e che esso coincida anche per il supporto dello Zed attivo con le braccia. L’altro fiore apparso è stato attivato successivamente e avrà quindi un mese in più, così come riportato dalla scritta: “…al quarto mese”. Ma nulla non ci vieta di pesare il contrario.

Qui sotto presentiamo le due possibili ipotesi di interrelazione temporale fra i vari bassorilievi. Lo 0 rappresenta la presenza del fiore ma senza alcuna indicazione di tempo mentre la X è l’assenza.

 

1° Ipotesi

FIORE 1 BASSORILIEVO 1

0

BASSORILIEVO 2

 III MESE

BASSORILIEVO 3

 IV MESE

FIORE 2 X 0 IV MESE

 

2° Ipotesi

FIORE 1 BASSORILIEVO 1

0

 

BASSORILIEVO 2

 III MESE

 

BASSORILIEVO 3

 IV MESE

 

FIORE 2 X 0 III MESE

Maggiore chiarezza però sembra provenire da un'osservazione più accurata delle due figure in offerta al di sotto dei due fiori: quella a sinistra pare si tratti di una donna, sia per le dimensioni più ridotte rispetto a quella di destra, sia per la presenza del seno, cosa che non si nota in quella di destra. Se così fosse l’intera rappresentazione assumerebbe un valore forse più completo in un simbolismo nel quale ritroviamo la generazione della vita da un lato umana con la presenza dell’uomo e della donna ma dall’altro divina per la presenza dello Zed che infonde lo spirito e l’anima. Se l’insieme fosse quindi l’unione delle due parti allora i serpenti all’interno del loto rappresenterebbero il nucleo fondamentale della vita che intrecciandosi nell’unione assumono l’immagine archetipica del caduceo simbolo dell’eternità.

Se ancora andiamo ad analizzare la scrittura egizia e cerchiamo il termine eternità vediamo che esso è rappresentato da tre ideogrammi; due sono identici e rappresentano ciascuno due corde che si intrecciano proprio come nel caduceo e l’altro, trovandosi sovente in mezzo a questi, è il sole quindi la luce. Ecco che ritroviamo gli stessi elementi sebbene visti in modo differente ma certamente significativi per l’assoluta convergenza dei valori.

Appendice 1: Il tempio di Hathor a Dendera, breve inquadramento storico e struttura del luogo sacro.

La città di Dendera si colloca, come nella stragrande maggioranza delle città dell’antico Egitto, sulle rive del Nilo nella regione dell’Alto Egitto. Dell’antica città non rimane praticamente nulla, nonostante ciò è una delle mete più visitate dai turisti per la celebre presenza di tre santuari: il santuario di Ihy (il giovane figlio di Horus suonatore di sistro), il santuario di Horus e il santuario di Hathor.

Il nome originario era Inet che nel periodo greco divene Tentyra; la città era stata fondata in un luogo strategico in quanto godette sia della vicinanza di Tebe sia del Mar Rosso, ciò le fece mantenere una grande importanza in tutto il periodo faraonico e greco-romano fino al declino avvenuto nel periodo cristiano. Gli arabi diedero successivamente nuova prosperità sviluppando sul luogo la coltivazione della palma da dattero.

La città, così come le sue regioni e il suo tempio principale, erano dedicate alla dea Hathor, dea patrona della musica, della danza e dell’amore che generalmente era rappresentata con l’aspetto di vacca.

Dei tre templi citati poc’anzi solo l’ultimo si è conservato integro, degl’altri purtroppo ne rimangono solo le fondamenta. Tuttavia esso è la copia di uno più antico che sorgeva proprio nello stesso luogo, la sua ultima edificazione risale all’epoca tolemaica e pertanto costruito interamente in granito.

Il tempio più antico si pensa risalga, molto probabilmente, al periodo del regno di Cheope e Pepi I.

La ricostruzione del tempio di età tolemaica è possibile datarla dallo studio sulla famosa rappresentazione della volta celeste ora conservata al Louvre di Parigi.

Su questa volta sono raffigurate tutte le costellazioni dello zodiaco con il sole la luna e i pianeti, configurazione nella quale le posizioni dei corpi celesti si trovano in posizione non casuale.

Verso l'equinozio d'autunno del 61 e del 62 a.C., avvengono a Dendera due eclissi di Sole, quasi totali e assai peculiari. Non solo si ripetono quasi nello stesso giorno a distanza di un anno (con la prima eclisse legata all'anno di fondazione del tempio dalla coincidenza della nascita eliaca di Sirio e di Venere), ma la prima eclisse si compie al tramonto e la seconda all'alba, con la stella Sirio al suo culmine massimo a Sud. La configurazione astronomica è dunque simile e poiché la durata del dì equivale a quella della notte, esse fissano pertanto due "istantanee" del cielo simmetriche e supplementari tra loro, evidenziando anche due sestine di segni zodiacali, i quali insistono su curve che tagliano l'orizzonte ad Est e ad Ovest.
Il 7 marzo del 51 a.C. accade poi un'altra eclisse di Sole, ancora una volta in periodo equinoziale e quasi in coincidenza con la morte di Tolomeo XII, fondatore del tempio di Hathor. In questo caso la Luna ed il Sole sono posti nella costellazione dei Pesci (come nello zodiaco) e la stella Sirio, al suo culmine a Sud subito dopo il tramonto, è a circa un quarto del suo tragitto. In quest'ottica, l'intera rappresentazione sarebbe pertanto legata strettamente a tre vicine eclissi di Sole, con le ultime due che propongono, nel 50 a.C., una configurazione planetaria simile a quella del disco della volta. Quest'anno è poi caratterizzato da una quarta eclisse di Sole, quasi totale e con Sirio ancora una volta al suo massimo a Sud.

Quindi è da ritenersi probabile il 51 a.C. come data approssimativa per l’inizio della costruzione del tempio.

Un aspetto assai interessante è che all’interno del tempio vi era ricavato un tempietto denominato “tempetto della Santità”, un luogo segreto e nascosto. Qui venivano celebrati i misteri della nascita dell’ordine cosmico dal caos primordiale.

Riportiamo ora un breve passo tratto da "Guida alla civiltà dell'Egitto Antico" di Francesco L- Nera, ed. Mondatori che ci illustra in dettaglio la struttura delle varie parti del tempio:

Il tempio di Hathor che sorge isolato al margine del deserto occidentale, è il motivo per cui Dendera è di gran lunga la località più visitata di tutta la valle tra Menfi e Tebe. Anche se dalle iscrizioni si apprende che un tempio esisteva al tempo di Cheope, l'attuale interessantissima costruzione è tarda: la grande ipostila fu decorata al tempo di Augusto e di Nerone e il retrostante complesso risale al II secolo d.C. La porta della cinta che racchiudeva gli edifici sacri porta i cartigli degli imperatori Domiziano e Traiano. Poichè il luogo si trova nell'ansa del Nilo a valle di Tebe, il fiume scorre qui da oriente a occidente e la facciata del tempio rivolta al Nilo guarda a Nord invece che a levante. Sei colonne, riunite da muri fino a mezza altezza, formano la facciata, dietro la quale vi è la sala ipostila con altre diciotto maestose colonne; i capitelli a testa di Hathor hanno la forma di sistro, strumento dedicato alla dea che in forma di vacca appare tre le piante nelle paludi della creazione. Nel naos retrostante vi è una seconda minore ipostila, o sala delle offerte, con cappelle ai lati. Una di queste ha le pareti ricoperte di ricette per la preparazione dei balsami e degli olii con cui si ungeva la statua della dea. Un vestibolo immette nel santuario che conteneva il naos o custodia della statua della dea e delle barche sacre. I rilievi della decorazione illustrano le fasi del rito. Attorno al santuario un corridoio dà accesso a undici cappelle. Particolarità sono le cripte decorate ricavate su tre piani nello spessore della muratura esterna, nascondigli degli emblemi e degli strumenti del culto nonché delle ricchezze in metalli e pietre preziose. Accanto al tempio di Hathor vi sono altri edifici o ruderi di grande interesse. Dietro vi sono le rovine del tempio della nascita di Iside; nell'angolo sud-occidentale, il lago sacro dove venivano celebrati i misteri del culto di Osiride, ossia la passione, la morte e la resurrezione del dio in un'azione scenica e liturgica; a destra della facciata, i resti in mattoni del "sanatorium" in cui i malati cercavano guarigione bagnandosi nelle acque sacre o dormendovi nell'attesa di un divino sogno risanatore. Più notevoli sono tuttavia ad ovest, tra la porta di Domiziano e Triano e la facciata del tempio di Hathor, due "case della nascita" o mammisi - secondo la denominazione in copto data da Champollion - una di Nekhtnebef (Nectanebo I) e l'altra di epoca romana. Il significato di questi edifici è chiarito dai rilievi che li decorano: nozze sacre e nascita del figlio divino, ovvero allusione alla fase giovanile degli dèi creatori.

 

Appendice 2: Elenco delle divinità citate nel testo

Shu       

Dio dell'aria secca, figlio di Atum-ra e gemello di Tefnut. Genera Geb e Nut. Nell'iconografia separava Geb da Nut.

Tefnut                   

Dea dell'aria umida, figlio di Atum-ra e gemella e sposa di Shu. Dea di Oxyrhynchos.

Nut                               

Dea del cielo, sorella e sposa di Geb, madre di Osiride, Iside, Seth e Nefthi. Ingoia il sole a tramonto e lo partorisce al mattino.

Geb

Dio della terra, sposo e fratello di Nut, padre di Osiride, Iside, Seth e Nefthi.

Osiride                         

Dio di Busiride. Figlio di Nut e Geb, è il dio-re dell'Egitto, lo sposo-fratello di Iside e il padre di Horus. Dopo la morte regna sull'aldilà dove, oltre che sovrano, è giudice supremo. Come dio della vegetazione viene spesso rappresentato in forma di mummia da cui germogliavano delle piante.

Iside                             

Figlia di Nut e Geb, è la grande maga, la dea madre e regina. Osiride ne è lo sposo-fratello, Horus il figlio. Il suo nome significa "il trono".

Seth             

Dio di Ombos. Figlio di Nut e Geb, fratello di Osiride, Iside e Nefthi, di quest'ultima anche sposo. Dio della siccità e del cattivo tempo, in senso lato potenza distruttrice, simbolo del male. Secondo la leggenda fu l'uccisore di suo fratello Osiride.

Horus                            

Dio di Behdet. Dio falco sdoppiato in Horus il Grande (Haroeris) e in Horus Bambino (Arpocrate). Figlio di Iside e Osiride, regna sull'Egitto dopo la morte del padre. I faraoni sono considerati suoi discendenti.

Hathor            

Dea di Afroditopolis e di Dendera. Dea dell'amore, patrona della musica e della danza, generalmente rappresentata nell'aspetto di vacca. Il suo emblema era il sistro.

Nun 

Massa liquida primordiale da cui è emerso il dio-sole Atum-Ra. Oltre che nei miti della creazione compare in quello della distruzione del genere umano come la divinità che consigliò a Ra di inviare il proprio occhio contro i ribelli.

Heh

Milioni, associato ad altri Heh presenta le pervasività dell'aria

Uaget

Dea serpente di Buto, era patrona della regalità e associata a Nekhbet nei titoli del faraone.

 

 

Autore: Diego Barucco

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