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La morte è un
Mistero indicibile, ma forse lo è anche la vita.
Si potrebbe considerare, riprendendo un’antica simbologia indiana, che la
vita sia come compiere un viaggio nelle ore notturne, senza sapere da dove
si viene e dove si va: si è trasportati, tutto ci scorre velocemente davanti
come attraverso un finestrino, e non conosciamo il senso di questo andare,
ma sappiamo che prima o poi esso avrà una conclusione.
Forse le antiche tradizioni concepivano un modo diverso di sentire e di
vivere, e anche di morire.
Un modo che potrebbe essere indirizzato a qualcosa di alto e luminoso,
qualcosa che deve essere fatto oggetto di una difficile e forse lunga
ricerca, attraverso un viaggio che forse è iniziato prima della nostra
nascita, e che continua ben oltre la nostra morte a questo mondo.
Un libro non è altro che
un’approssimazione più o meno fedele alla realtà, ma non è la realtà. La
realtà non si legge né si pensa, ma si vive, e la realtà della morte non fa
eccezione.
Quando, presto o tardi, noi moriremo, vivremo esperienze che potrebbero
essere molto diverse da tutto quanto si sia potuto immaginare leggendo
questo testo, o altri del medesimo tipo.
Ma forse conoscere le testimonianze ed i consigli dei saggi delle antiche
tradizioni sapienziali, cioè di coloro che tale viaggio lo avrebbero già
compiuto in modo consapevole, al punto tale da poter indicare la via,
potrebbe avere la stessa utilità del possedere una carta geografica precisa.
Colui che, almeno sul piano razionale, sa dov’è e dove deve andare, è forse
in una condizione migliore di colui che deve basarsi solo su ciò che entra
nel suo limitato campo visivo, o che magari si basa su di una mappa
sbagliata, che potrebbe essere assimilata ad una delle concezioni del mondo
e della vita che oggi sono diffuse.
Come suggeriscono le Upanishad, colui che è ignorante sulle vite e sulle
morti sarebbe come uno bendato e portato in un paese sconosciuto il quale
vagherebbe a caso, prima di qua e poi di là, e non tornerebbe mai. Se invece
qualcuno gli togliesse la benda e gli dicesse: il tuo paese è di là, se egli
fosse saggio ed accorto, e si muovesse realmente in quella direzione,
chiedendo informazioni di villaggio in villaggio, alla fine potrebbe
riuscire a tornare a casa propria.
Così forse, affermano gli antichi Saggi, è di colui che ha ricevuto un
insegnamento: sa di essere lontano dalla Liberazione, ma sa anche di essere
sulla strada che vi porta, attraverso le difficili e sorprendenti prove
della vita e della morte.
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Davide Melzi fu attratto sin da giovane
dallo stile di vita e dalle concezioni sull’uomo e sul cosmo che erano
proprie dei popoli arcaici.
Seguendo questa sua vocazione ha intrapreso studi di antropologia e di
sciamanesimo, ma anche di quelle forme sapienziali che, come la tradizione
ermetica, potrebbero aver conservato nel mondo storico l’eredità spirituale
di età più antiche.
Dopo la laurea ha proseguito le sue ricerche, cercando di andare oltre il
limite semplicemente tecnico ed accademico che di solito caratterizza gli
studi di questo genere, e provando anche a sperimentare alcuni aspetti della
via della conoscenza tradizionale.
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