Autore: Ciro Cabala

Casa Editrice San Paolo

Pagg. 215 - Prezzo € 14,00

 
 

 

LA MONETA MALEDETTA

"Nelle mani di Giuda erano trenta. Ora ne rimane solo una..."
 

In sintesi:

Giovanni è in vacanza in Turchia in compagnia degli zii antiquari. Una moneta, acquistata come souvenir, lo accompagna sulla strada del ritorno quando improvvisamente si scatena la caccia all'uomo, anzi al ragazzo. Sono sulle sue tracce, contemporaneamente, un avido antiquario con un passato oscuro e gli strani rappresentanti di ordine di cavalieri cristiani che vogliono ridare " riposo innocuo" alla moneta custodendola nei monasteri greci delle Meteore. Tra conventi medievali, spiagge della Costa Azzurra, inseguimenti e tranelli, Giovanni approda su un'isola (La Capraia) dove in una pagina suggestiva, un uomo vestito di bianco prende in custodia la moneta. La maledizione della moneta. L'ultima moneta di Giuda arriva fino ai nostri giorni e cade nelle mani del protagonista. La leggenda vuole che le monete di Giuda abbiano una caratteristica: accrescono gloria, fama e fortuna di chi le possiede, sottraendola alle persone che stanno loro accanto. Ma nel momento in cui chi possiede la moneta la perde, paga per tutta la fortuna che, fino a quel momento ha sottratto agli altri. Sotto lo pseudonimo di CIRO CABALA si nasconde uno dei maggiori scrittori per ragazzi italiano, autore di molti romanzi di successo. Ciro Cabala, solo per la Narrativa Ragazzi San Paolo, scrive romanzi di avventura che toccano in qualche modo la dimensione spirituale.

PROLOGO:

L’uomo non aveva più un nome. Si era imposto di dimenticarlo, e di cancellare ogni traccia del suo passaggio. Voleva essere una semplice ombra, accampata ai margini della strada dei pellegrini.
O un viandante silenzioso, che procedeva curvo sul bastone che, un tempo, era stato una lancia.
L’uomo era stato un soldato. Ogni notte soffriva di terribili incubi e restava con gli occhi sbarrati, scandagliando con terrore l’oscurità che lo circondava.
Allo stesso modo, durante il giorno, di tanto in tanto si guardava alle spalle, temendo che qualcuno lo seguisse per riprendersi quello che lui aveva rubato.
L’uomo era anche stato un ladro. Erano molti giorni, ormai, che viaggiava da solo lungo la via del ritorno, perché tutte le persone che aveva chiamato amici erano morte. Alcune per colpa della crociata. Altre per colpa del furto.
Non poteva accendere fuochi. E doveva evitare i caravan serragli, per paura che qualcuno potesse riconoscerlo.
Si era vestito di stracci e si era fatto crescere una lunga barba, come quella degli infedeli che aveva combattuto.
L’uomo era stato fedele. Ora non era più sicuro di esserlo. Tutto ciò in cui credeva era nascosto sotto gli stracci con cui si copriva. Era una scatolina d’argento, molto piccola, e molto pesante, anche se completamente vuota. Non la mostrava mai a nessuno. E lui stesso aveva paura a guardarla troppo a lungo, come se tra quei mirabili intarsi si nascondesse qualcosa di oscuro, ma attraente, come un pozzo.
L’uomo, che non aveva più un nome, aveva sete.
Camminò a lungo, cercando di tornare a casa. Ma sbagliò strada, o, forse, pensò, fu la scatola d’argento a confonderlo. Quella che imboccò lo condusse in una valle talmente remota che nemmeno il vento osava soffiarvi. Era popolata solo da gigantesche, e mute, colonne di pietra, che si innalzavano una accanto all’altra, come tronchi di alberi morti.
Si avvicinò. Non sarebbero bastati dieci uomini per circondarne le radici. Erano formazioni di roccia, scavate dal vento e dalle piogge.
L’uomo vide che c’erano i resti di una scala. Gradini scolpiti, che salivano verso l’alto.
Guardò su, meravigliato.
Chi poteva abitare quelle colonne?
Cominciò a salire. E poi si arrampicò. Il sole tramontò, e lo lasciò che ancora stava salendo, la pancia contro la roccia. Le dita alla ricerca di una fessura.
La scatolina d’argento contro le sue costole magre. In cima alla colonna di pietra trovò un’apertura.
Una grotta. Una stanza. Riconobbe, dall’odore, un’altra presenza umana. Poi la vide. Un’ombra, accoccolata nel buio.
Apparteneva a qualcuno che era morto da centinaia di anni, e che aveva scelto di morire lassù, senza scendere più a terra.
Spuntò la luna.
L’uomo senza nome si sedette accanto all’eremita, e tirò fuori la scatola d’argento.
La adagiò sul pavimento, in mezzo a loro. E poi, lentamente, cominciò a parlarle.

DAL PRIMO CAPITOLO:

... Giovanni abbandonò il salotto contenendo ancora perfettamente la sua felicità, ma non appena individuò Messico intento a grattarsi sul tappeto nel portico, gli volò addosso con un liberatorio urlo di guerra. Il povero cane sbarrò gli occhi e restò con la zampa sollevata prima di lasciarsi aggrovigliare da un ragazzino al colmo della felicità.
Rotolarono insieme, lottando.
– Ci vado! Ci vado! Vado in Turchia con Claudio e Giuliana... Sì! Sì! Ce l’ho fatta!
Messico, piuttosto interdetto, cercava di partecipare a tanto entusiasmo, ma la sorpresa e la violenza di quell’attacco lo avevano in un certo senso disturbato. Cercò di districarsi dalla presa e si limitò a distendersi sul tappeto accanto a lui.
Parto... ansimò Giovanni, con lo sguardo sperduto tra le gocce di cristallo del lampadario.
E andremo in posti mai visti da nessuno. Posti selvaggi e pericolosi. Pieni di predoni, Messico.
Lo sguardo del cane comunicava una placida saggezza, quasi quell’informazione fosse per lui tutt’altro che nuova.

 
 
 
 
 

 

 
 

 

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