Autrice: Luisa Muraro

La Tartaruga Edizioni

pagg. 345 - 16,50

 

 
       
 

La signora del gioco
 
La caccia alle streghe interpretata dalle sue vittime

 

Questo libro fino a poco tempo fa era introvabile. Scritto originalmente da Luisa Muraro negli anni settanta (edito nel 1976), in questa riedizione - di cui si sentiva davvero il bisogno - presenta una serie di correzioni all'edizione precedente e alcune novità (nella Prefazione e nell'Appendice).

La caccia alle streghe continua a essere un capitolo difficile della storia europea e questo libro è un nuovo tentativo di leggerla, dando ascolto a quello che le vittime tentano di dirci. Molti storici pensano che non sia possibile conoscere il punto di vista delle vittime, che si tratti della caccia alle streghe o di altre persecutori. Posizione discutibile. C'è un legame che non si può rompere tra il persecutore e la vittima, e quando il primo afferma il proprio punto di vista, tira dentro anche la seconda. Basta avere la pazienza di seguire il filo esile e intermittente di questa presenza seconda. Seguendolo, indietro nel tempo, di processo in processo, il libro ci fa incontrare le donne accusate di essere streghe, in realtà spesso donne dedite alla medicina e alla divinazione, tutte diverse tra loro, alcune dotate di una notevole personalità, e ci conduce fino al cuore della loro mitologia, un mondo magico dominato dalla figura di una divinità femminile, la Signora del gioco.

Perdenti in partenza, per l'enorme disparità di potere, le vittime si difesero con tutti i mezzi che avevano a loro disposizione, con la fuga, con la sincerità, con la fantasia, con la ragione, con la religione, con il silenzio, con la malattia mentale, con la morte. La loro mitologia si perdette, per fare posto alle credenze religiose dei loro persecutori, dominate dalla figura del demonio. La vicinanza che il libro consente di avere con la scena del processo, fa vedere il «lavoro»  fatto dalle donne coinvolte per venire in qualche modo a capo della loro paurosa situazione, contribuendo così alla fine della persecuzione, non prima del XVIII secolo.

Il testo si riferisce alle vicende di stregoneria (XIV e il XVII secolo) e ai processi che l'Inquisizione intentava, per esercitare il controllo sociale, contro presunte streghe. Malanni e infermità, eventi dal sapore di contro natura turbano la vita umana e ad essi è sempre difficile dare risposta. Le streghe potevano essere una spiegazione e dovevano essere estirpate. La donna diventa malefica attraverso un processo di iniziazione da parte di altre immonde e si conclude nel patto con il demonio. Secondo gli inquisitori, in qualche zona del corpo della strega si dovrebbe trovare il marchio del sodalizio con Satana.


"L'accusa maggiore che la gente faceva alle streghe, come si è visto, era di insidiare la vita in tutte le sue forme, e in particolare la procreazione. Questo potere straordinario era sempre stato attribuito a certe donne, ma in passato esso era connesso con un potere di segno contrario, benefico.
Le streghe erano anche fate... Non si sa quando si sia formato lo stereotipo della strega unicamente maligna. Quando appare, nei documenti, con la caccia alle streghe - esso ci si presenta come il resto di un sapere e di un potere rigettati, perchè non sia turbata la
buona generazione, che proviene dalla complementarietà tra un corpo femminile fecondabile (materia recettiva che non ha attributi di sapere e potere) e la paternità. La paternità affermandosi scinde l'arcaica competenza femminile in due parti: un corpo da fecondare (la donna9 ed un resto sterile e maligno, da distruggere (la strega). Il primo più rozzo modo per riaffermare il principio della generazione paterna fu questo; che era come la rappresentazione visiva della spartizione tra l'utilità sociale del corpo femminile fecondo e la minaccia di un resto non regolabile. Nel sapere della donna sterile si vede una minaccia sociale... Le streghe erano accusate di insidiare la vita con un potere e un sapere di origine diabolica. Non si trattava dunque di una inutilità sociale attaccata al corpo di quelle donne vecchie, ma di una pericolosità. La quale, in effetti, giustificherebbe la società che si difende anche con mezzi violenti."


La “signora del gioco” è un’immagine ricorrente nelle confessioni che le donne accusate di stregoneria, alla fine del XIV secolo, rilasciavano nei processi intentati dall’Inquisizione. Ora chiamata domina, Erodiade, matrona, madonna Oriente e in altri modi, appare in tutte le tradizioni popolari di ogni parte geografica. E’ la dea che ha il potere di resuscitare dalle ossa gli animali uccisi. Questo mito, a partire dal 1500, viene sostituito dal diavolo e dalle sue varie trasfigurazioni.

La vicenda della stregoneria si svolge quindi fra persistenza di miti pagani e innovazioni demonologiche, fra medioevo e età moderna, dove la nascita della rivoluzione scientifica si avvale di un atteggiamento credulo, pur se non sbigottito. L’ordine cronologico del libro, con un movimento a ritroso e poi di ritorno al tempo più vicino a noi, restituisce il dramma della storia alla sua componente misteriosa e inconscia. Infatti durante il 1300 le donne vengono processate con l’accusa di eretici vaniloqui sull’incontro con strabilianti figure, come la signora del gioco. Ma alla fine del secolo queste parole diventano, per i giudici, fatti reali di cui le donne devono rilasciare la confessione.

Osserva l’autrice che è questa una posizione di colpevolezza abbastanza strana se si considera che richiede la confessione della colpevole per essere tale. Insomma una non poteva essere condannata se non si autodefiniva strega. A questo si arrivava estorcendo confessioni che erano la prova ultima della colpevolezza, secondo il sistema giuridico medioevale. Ma ancora più strano è che si volesse mantenere le donne nella tradizionale passività femminile di oggetti del desiderio, in questo caso diabolico, benché si riconoscesse ad esse l’atto della colpa.

Poche resistettero alla tortura: una di queste fu Barbara Marostega, una donna anziana che rifiutò di definirsi una strega e mori prima che riuscissero a farglielo dire. La maggioranza parlò di una religione cattolica rinnegata e rovesciata, resa blasfema perché dove si pregava si copulava e viceversa. In questo contesto storico e linguistico le donne servono a confermare l’idea maschile del bene e, nella tessitura dell’immaginario, la differenza femminile ricostruisce la sua immagine abnorme e scandalosa ma anche paradossalmente antifallica.

La stregoneria fu capace di attivare schemi, magari primitivi, di intervento sulla natura, non diversi da quelli che sono oggi riconoscibili nei riti sciamanici. Ai quali l’etnopsichiatria, come è praticata, per esempio da Tobie Nathan, riconosce credibilità. C’è da chiedersi dove sono finiti i rozzi principi della giustizia della prima modernità e, ogni qualvolta la morale maschile ha stabilito ciò che è bene e ciò che è male, quale parte femminile ha portato con sé a testimoniare. Se questa è riconoscibile in una figura che, per essere perdente, deve non avere più significati in proprio, restituibili nella dialettica fra male e bene, invece nello svolgimento storico ci accorgiamo che questi ritornano; dall’interpretazione psicoanalitica resi sensibili per annotare il rapporto fra vittima e oppressore.

La scena del processo, come si è visto, ha una parte di eccezionale importanza nella scoperta (del diavolo, della perversione, della sessualità). Né i giudici erano gli agenti (involontari, inconsapevoli) di una esplicitazione che riguardava tutti. Essi scoprivano quello che esplicavano, il proprio potere, la cosa dunque che uno ha minore interesse anzi nullo a comunicare. Quando si rasentò l’esplicitezza (ne è un esempio il processo di Anna Maria Sertora), siamo al termine della persecuzione giudiziaria.

La violenza con cui la Sertora si rivolse dalla parte da cui in realtà veniva la seduzione fu come un segnale. A questo punto il giudice cede volentieri il posto all’esorcista e al medico. (p. 212) La scena processuale diventa il luogo dove si è costituito un linguaggio, una interpretazione del mondo. La sessualità, complici le tradizioni popolari, come proiezione inconscia di un’epoca che, oggi, gli esperti riconoscono affetta da demonomania è il luogo terminale di questa lotta fra donne e potere maschile. Ma altre interpretazioni sono state rese possibili dalla materia storica.

Infatti mentre va scolorendosi “il grande fogo della Signora” mito di un’epoca in via di superamento “ardono in primo piano gli incendi della rivolta e i roghi della repressione”. E’ lo sfondo dei processi in Val di Fiemme dove nel 1525 scoppiò una vasta sollevazione contadina delle valli, i cui artefici furono massacrati dai signori di Trento. Ma a noi, cui tutti quei fuochi sono lontani, pare di scorgere un legame tra la rivolta contadina che stava preparandosi e i racconti di misteriosi convegni notturni. La donna del bon zogo proteggeva, con il suo mistero, il segreto di altri e di altre.

Testo fondamentale, nel quale un modo di fare storia, ricostruendo il “cerchio di carne” che tiene insieme la genealogia femminile, ha acquistato la parola e la profondità della ricerca. Non a caso, in quegli anni, molte donne si laurearono scegliendo come argomento le streghe e tenendo questo libro come riferimento di una pratica politica che sapeva darsi un sapere.

 

Luisa Muraro (Montecchio Maggiore, 1940) è un'importante filosofa italiana. Si laurea in Filosofia all'Università Cattolica di Milano e qui inizia la carriera accademica. Con i moti sessantottini, interrompe la sua scalata universitaria e passa ad insegnare nella scuola dell'obbligo. Dal 1976 vive a Milano, ma lavora nel dipartimento di Filosofia dell'Università degli Studi di Verona. Profonda conoscitrice del femminismo delle origini, è tra le fondatrici della Libreria delle Donne di Milano (1975) e della Comunità filosofica Diotima (1984). Grazie alla Comunità filosofica Diotima, che raccoglie filosofi di tutto il mondo, ha elaborato e diffuso il pensiero della differenza, fino a renderlo realtà imprescindibile della filosofia contemporanea. Autrice di molte monografie, ha scritto anche numerosi saggi, articoli, interventi ospitati in riviste accademiche, ma anche in quotidiani e riviste di vasta divulgazione.

Tra le sue opere:

  • La signora del gioco. Episodi della caccia alle streghe (Milano, Feltrinelli, 1976)

  • Maglia o uncinetto. Racconto linguistico-politico sulla inimicizia tra metafora e metonimia (Milano, Feltrinelli, 1981)

  • L'ordine simbolico della madre (Roma, Editori Riuniti, 1991)

  • Lingua materna, scienza divina. Scritti sulla filosofia mistica di Margherita Porete (Napoli, D’Auria, 1995)

  • Le amiche di Dio (Napoli, D’Auria, 2001)

  • Il Dio delle donne (Milano, Mondadori, 2003)

  • Guglielma e Maifreda (Milano, La Tartaruga ed., 1985, 2003)

 

LIBRERIA DI MISTERIA

 
 

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