Autore: Felice Vinci

Editore Palombi

Pagg. 504 - Prezzo € 22,50

 
 

 

OMERO NEL BALTICO

 

Sin dai tempi antichi la geografia omerica ha dato adito a problemi e perplessità: la coincidenza tra le città, le regioni, le isole descritte, spesso con dovizia di dettagli, nell'Iliade e nell'Odissea ed i luoghi reali del mondo mediterraneo, con cui una tradizione millenaria le ha sempre identificate, è spesso parziale, approssimativa e problematica, quando non dà luogo ad evidenti contraddizioni: ne troviamo vari esempi in Strabone, il quale tra l'altro si domanda perché mai l'isola di Faro, ubicata proprio davanti al porto di Alessandria, da Omero venga invece inspiegabilmente collocata ad una giornata di navigazione dall'Egitto. Così l'ubicazione di Itaca, data dall'Odissea in termini molto puntuali -secondo Omero è la più occidentale di un arcipelago che comprende tre isole maggiori: Dulichio, Same e Zacinto - non trova alcuna corrispondenza nella realtà geografica dell'omonima isola nel mar Ionio, ubicata a nord di Zacinto, ad est di Cefalonia e a sud di Leucade. E che dire del Peloponneso, descritto come una pianura in entrambi i poemi?

Insomma la geografia omerica fa riferimento ad un contesto del quale conosciamo bene la toponomastica, ma che, nel contempo, se confrontato con la realtà fisica del mondo greco, presenta incomprensibili anomalie, rese ancor più evidenti dalla loro stessa coerenza interna: ad esempio, quello "strano" Peloponneso appare pianeggiante non saltuariamente, ma sistematicamente, e Dulichio, l'isola "Lunga" ("dolichòs" in greco) situata da Omero nei pressi di Itaca ma inesistente nel Mediterraneo, viene menzionata più volte, anche nell'Iliade. Si configura in tal modo un universo sostanzialmente chiuso e inaccessibile, al di là di qualche parziale congruenza e nonostante la familiarità dei nomi, la quale rischia di diventare un elemento più fuorviante che utile alla soluzione del problema.

Una possibile chiave per penetrare finalmente in questa singolare realtà geografica ce la fornisce Plutarco, il quale in una sua opera, il De facie quae in orbe lunae apparet, fa un'affermazione sorprendente: l'isola Ogigia, dove la dea Calipso trattenne a lungo Ulisse prima di consentirgli il ritorno ad Itaca, è situata nell'Atlantico del nord, «a cinque giorni di navigazione dalla Britannia».

Partendo da tale indicazione e seguendo la rotta verso est, indicata nel V libro dell'Odissea, percorsa da Ulisse dopo la sua partenza dall'isola (identificabile con una delle Färöer, tra le quali si riscontra un nome curiosamente "grecheggiante": Mykines), si riesce subito a localizzare la terra dei Feaci, la Scheria, sulla costa meridionale della Norvegia, in un'area in cui abbondano i reperti dell'età del bronzo. Qui, al momento dell'approdo di Ulisse nella terra dei Feaci, si verifica una sorta di "miracolo": il fiume (dove il giorno successivo il nostro eroe incontrerà Nausicaa) ad un certo punto inverte il senso della corrente ed accoglie il naufrago all'interno della sua foce. Tale fenomeno, incomprensibile nel Mediterraneo, sembra attestare proprio una localizzazione nordatlantica, dove in effetti l'alta marea produce la periodica inversione del flusso negli estuari (nel Tamigi la risalita dell'onda di marea, che favorisce l'ingresso delle navi nel porto, proprio come accade ad Ulisse, è di molti chilometri). Inoltre, nell'antica lingua nordica "skerja" significava "scoglio".

Da qui, con un viaggio relativamente breve il nostro eroe fu poi accompagnato ad Itaca, situata, secondo Omero, all'estremità occidentale di quell'arcipelago su cui il poeta ci fornisce tanti particolari, estremamente coerenti fra loro ma totalmente incongruenti con le Isole Ionie: ora, una serie di precisi riscontri consente di individuare nel Baltico meridionale un gruppo di isole danesi che vi corrisponde in ogni dettaglio. Le principali infatti sono proprio tre: Langeland (l'"Isola Lunga": ecco svelato l'enigma della misteriosa Dulichio), Ærø (la Same omerica, anch'essa collocata esattamente secondo le indicazioni dell'Odissea) e Tåsinge (l'antica Zacinto). L'ultima isola dell'arcipelago verso occidente, «là, verso la notte», ora chiamata Lyø, è proprio l'Itaca di Ulisse: essa, a differenza della sua omonima greca, coincide in modo stupefacente con le indicazioni del poeta, non solo per la posizione, ma anche per le caratteristiche topografiche e morfologiche. E nel gruppo si ritrova persino l'isoletta, «nello stretto fra Itaca e Same», dove i pretendenti si appostarono per tendere l'agguato a Telemaco.

Inoltre, ad oriente di Itaca e davanti a Dulichio giaceva una delle regioni del Peloponneso, che a questo punto si identifica facilmente con la grande isola danese di Sjælland: ecco la vera "Isola di Pelope", nell'autentico significato del termine. Il Peloponneso greco invece, situato in posizione corrispondente nell'Egeo, malgrado la sua denominazione non è un'isola: questa contraddizione, inspiegabile se non si ammette una trasposizione di nomi, è molto significativa. Ma c'è di più: sia i particolari, riportati dall'Odissea, del rapido viaggio in cocchio di Telemaco da Pilo a Lacedemone lungo una «pianura ferace di grano», sia gli sviluppi della guerricciola tra Pili ed Epei raccontata da Nestore nell'XI libro dell'Iliade, da sempre considerati incongruenti con la tormentata orografia della Grecia, si inseriscono alla perfezione nella realtà della pianeggiante isola danese.

Quanto a Ulisse, vi sono singolari convergenze tra la sua figura e quella di Ull, guerriero ed arciere della mitologia nordica; inoltre, lungo le coste e le isole del mar di Norvegia, attraversato dalla Corrente del Golfo -identificabile con il mitico "fiume Oceano"- troviamo molti suggestivi riscontri alle sue celebri avventure, le quali traggono probabilmente origine da racconti di marinai e da elementi del folklore locale, trasfigurati dalla fantasia del poeta e resi poi irriconoscibili dalla trasposizione in un contesto totalmente diverso. Esse in definitiva si rivelano l'estremo ricordo di antiche rotte oceaniche dei navigatori dell'età del bronzo: i riferimenti geografici forniti da Omero ci consentono di ricostruirle puntualmente. Per di più, certi fenomeni in apparenza incomprensibili -quali le Rupi Erranti, il canto delle Sirene, il gorgo di Cariddi o le danze dell'Aurora nell'isola di Circe- una volta ricondotti alla loro originaria dimensione atlantico-settentrionale trovano immediatamente una spiegazione. Addio Grecia, addio mare Mediterraneo!

Cerchiamo ora la regione di Troia. L'Iliade la situa lungo l'Ellesponto, sistematicamente descritto come un mare "largo" o addirittura "sconfinato"; è pertanto da escludere che possa trattarsi dello Stretto dei Dardanelli, dove giace la città trovata da Schliemann, la cui identificazione con la Troia omerica d'altronde continua a suscitare forti perplessità: pensiamo alla critica che ne ha fatto il Finley nel suo Il mondo di Odisseo. Ora, lo storico medioevale danese Saxo Grammaticus nelle sue Gesta Danorum menziona in più occasioni un singolare popolo di "Ellespontini", nemici dei Danesi, e un "Ellesponto" curiosamente situato nell'area del Baltico orientale: che si tratti dell'Ellesponto omerico? Esso potrebbe identificarsi con il Golfo di Finlandia, il corrispondente geografico dei Dardanelli; poiché d'altra parte Troia, secondo l'Iliade, era ubicata a nord-est del mare (altro punto a sfavore del sito di Schliemann), per la nostra ricerca è ragionevole orientarci verso un'area della Finlandia meridionale, là dove il Golfo di Finlandia sbocca nel Baltico.
E proprio qui, in una zona circoscritta ad occidente di Helsinki, s'incontrano numerosissime località i cui nomi ricordano in modo impressionante quelli dell'Iliade, ed in particolare gli alleati dei Troiani: Askainen (Ascanio), Reso (Reso), Karjaa (Carii), Nästi (Naste, capo dei Carii), Lyökki (Lici), Tenala (Tenedo), Kiila (Cilla), Kiikoinen (Ciconi) e tanti altri. Vi è anche una Padva, che richiama la nostra Padova, la quale secondo la tradizione venne fondata dal troiano Antenore (e gli Eneti o Veneti, che Tacito nella Germania menziona accanto ai Finni, nell'Iliade vengono enumerati fra gli alleati dei Troiani); inoltre i toponimi Tanttala e Sipilä -sul monte Sipilo fu sepolto il mitico re Tantalo, famoso per il celebre supplizio- indicano che il discorso non è circoscritto alla sola geografia omerica, ma sembra estendersi all'intero mondo della mitologia greca.

E Troia? Proprio al centro della zona così individuata, in una località, a mezza strada fra Helsinki e Turku, le cui caratteristiche corrispondono esattamente a quelle tramandate da Omero -l'area collinosa che domina la vallata con i due fiumi, la pianura che scende verso la costa, le alture alle spalle- scopriamo che la città di Priamo è sopravvissuta al saccheggio e all'incendio da parte degli Achei ed ha conservato il proprio nome quasi invariato sino ai nostri giorni: Toija, così si chiama attualmente, è ora un pacifico villaggio finlandese, rimasto per millenni ignaro del proprio glorioso e tragico passato.

Varie visite in loco, a partire dall'11 luglio 1992, hanno confermato le straordinarie corrispondenze delle descrizioni dell'Iliade con il territorio attorno a Toija, dove per di più si riscontrano eloquenti tracce dell'età del bronzo. Addirittura, in direzione del mare, il nome della località di Aijala ricorda la "spiaggia" ("aigialòs") dove gli Achei avevano tratto in secca le loro navi (Il. XIV, 34). Tali corrispondenze si estendono anche alle aree adiacenti: sulla costa svedese antistante, 70 chilometri a nord di Stoccolma, si affaccia la baia di Norrtälje, lunga e relativamente stretta, le cui caratteristiche rimandano alla Aulide omerica, da dove mosse la flotta achea diretta a Troia; attualmente dalla sua estremità partono i traghetti per la Finlandia, ricalcando la stessa rotta: essi transitano davanti all'isola Lemland, il cui nome ricorda l'antica Lemno, dove gli Achei fecero tappa e abbandonarono l'eroe Filottete; a sua volta, la vicina Åland, la maggiore dell'omonimo arcipelago, probabilmente coincide con Samotracia, mitica sede dei misteri della metallurgia. L'attiguo Golfo di Botnia a questo punto è facilmente identificabile con l'omerico Mar Tracio; e, riguardo alla Tracia, che il poeta colloca al di là del mare rispetto a Troia, in direzione nord-ovest, essa giaceva lungo la costa della Svezia centro-settentrionale e nel suo entroterra. Più a sud, oltre il Golfo di Finlandia, la posizione dell'isola Hiiumaa, situata dirimpetto alla costa dell'Estonia, corrisponde esattamente a quella dell'omerica Chio, che l'Odissea pone sulla rotta del rientro in patria della flotta achea dopo la guerra.

Insomma, oltre alle caratteristiche morfologiche del territorio, anche la collocazione geografica di questa Troade finnica "calza a pennello" con le indicazioni della mitologia; e così si spiega finalmente perché sui combattenti nella pianura di Troia cali spesso una "fitta nebbia" ed il mare di Ulisse non sia mai quello splendente delle isole greche, ma appaia sempre "livido" e "brumoso": nel mondo cantato da Omero si avvertono le asprezze tipiche dei climi nordici. Dovunque vi si riscontra una meteorologia tutt'altro che mediterranea, con nebbia, vento, freddo, pioggia, neve -quest'ultima anche in pianura e perfino sul mare- mentre il sole, e soprattutto il caldo, sono pressoché assenti: in quello che, secondo la tradizione, dovrebbe essere un torrido bassopiano dell'Anatolia, il tempo è quasi sempre perturbato, al punto che i combattenti, ricoperti di bronzo, arrivano addirittura ad invocare il sereno durante la battaglia! D'altronde, a tale contesto è perfettamente adeguato l'abbigliamento dei personaggi omerici, tunica e "folto mantello", che non lasciano mai, neppure durante i banchetti: esso trova un preciso riscontro nei resti di abiti ritrovati nelle antiche tombe danesi.

Inoltre, questa collocazione così settentrionale spiega la macroscopica anomalia della grande battaglia che occupa i libri centrali dell'Iliade, con due mezzogiorni (XI, 86; XVI, 777) e una notte interposta (XVI, 567), durante la quale i combattimenti non s'interrompono per il buio, il che nel mondo mediterraneo appare incomprensibile: invece è il chiarore notturno, tipico delle alte latitudini nei giorni attorno al solstizio estivo, che consente alle truppe fresche guidate da Patroclo di continuare a combattere fino al giorno successivo, senza un attimo di tregua.
Questa chiave di lettura consente finalmente di ricostruire tutto lo svolgimento della battaglia in modo perfettamente logico e coerente, senza le perplessità e le forzature delle attuali interpretazioni; inoltre, da un passo dell'Iliade si riesce persino a evincere il nome greco del fenomeno della "notte chiara", peculiare delle regioni situate a ridosso del Circolo polare: è un vero e proprio "fossile linguistico" che l'epos omerico ha fatto sopravvivere allo spostamento degli Achei nel sud dell'Europa.

Notiamo ancora che, in base alle descrizioni di Omero, le mura di Troia appaiono alla stregua di una rustica palizzata di tronchi e pietre; insomma, più che alle poderose fortificazioni micenee, esse sembrano corrispondere agli arcaici recinti in legno degli insediamenti nordici (tali furono ad esempio le mura del Cremlino fino al XV secolo).

Prendiamo adesso in esame il cosiddetto Catalogo delle navi del II libro dell'Iliade, che riporta l'elenco delle 29 flotte achee partecipanti alla guerra di Troia con i loro comandanti e le località di provenienza: si può verificare che esso si snoda seguendo punto per punto la geografia delle coste baltiche in senso antiorario, a partire dalla Svezia centrale fino alla Finlandia; in tal modo, utilizzando anche le altre notizie fornite dai due poemi, è possibile ricostruire integralmente il mondo degli Achei attorno al mar Baltico, dove, come ci attesta l'archeologia, nel secondo millennio a.C. fioriva una splendida età del bronzo.

Nel nuovo contesto geografico tutto l'universo di Omero e della mitologia greca finalmente ci si rivela in tutta la sua stupefacente coerenza: ad esempio, seguendo la scansione del Catalogo localizziamo subito la Beozia, corrispondente a quella parte del territorio della Svezia in cui si trova Stoccolma: è possibile in tal modo individuare la Tebe di Edipo ed il mitico monte Nisa (mai identificato nel mondo greco), dove il piccolo Dioniso venne allevato dalle Iadi; l'Eubea omerica coincideva con l'attuale isola di Öland, parallela alla costa svedese, in posizione analoga alla sua corrispondente mediterranea; l'Atene della mitologia, patria di Teseo, giaceva nel territorio dell'attuale Karlskrona, nella Svezia meridionale (ecco perché Platone nel dialogo Crizia la colloca in una pianura ondulata ricca di fiumi, totalmente estranea all'aspra morfologia della Grecia); nella pianeggiante isola Sjælland, il "Peloponneso" omerico, si ritrovano i regni degli Atridi e l'Arcadia, nonché il fiume Alfeo e la Pilo del re Nestore, la cui ubicazione nel Peloponneso veniva considerata un rompicapo già dagli antichi Greci: anche in questo caso, la localizzazione nordica risolve d'incanto problemi millenari.
E, a questo punto, il Catalogo si raccorda con l'area dell'arcipelago di Itaca, già identificato a partire dai dati dell'Odissea: è così possibile verificare la perfetta congruenza dei dati forniti dai due poemi, una volta calati nel contesto baltico. In particolare, gli antichi Etoli dovevano corrispondere agli Juti medievali, come ci attesta non solo la loro collocazione nella sequenza del Catalogo, ma anche l'identificazione delle loro città, Pilene e Calidone, con le attuali Plön e Kiel.

E la "vasta terra" di Creta, con "cento città", solcata da fiumi e mai chiamata isola da Omero? Essa corrisponde all'attuale regione della Pomerania, nel Baltico meridionale, distesa fra la costa tedesca e quella polacca; così si spiega perché nella ricca produzione pittorica della cosiddetta civiltà minoica, fiorita nella Creta egea, non si riscontrino tracce della mitologia greca ed anche le raffigurazioni di navi siano scarsissime. Sarebbe inoltre suggestivo ipotizzare una relazione tra il nome "Polska" e i Pelasgi, mitici abitanti di Creta.
A questo punto è facile identificare anche Naxos, dove Teseo lasciò Arianna nel suo viaggio di ritorno da Creta verso Atene: è l'isola Bornholm, situata tra la Polonia e la Svezia, dove il toponimo Neksø ricorda tuttora l'antico nome. Scopriamo altresì che il "fiume Egitto" dell'Odissea probabilmente coincideva con l'attuale Vistola: ecco dunque la vera origine del nome attribuito dai Greci alla terra dei Faraoni, chiamata "Kem" nella lingua locale. E così si spiega subito l'incongruenza sulla posizione della Tebe egizia, che l'Odissea colloca nei pressi del mare: evidentemente la capitale dell'antico Egitto, situata sul Nilo a molte centinaia di chilometri dalla costa e denominata originariamente Wò'se, venne ribattezzata dagli Achei discesi nel Mediterraneo col nome della città baltica. Invece la Tebe omerica forse corrisponde all'attuale Tczew, presso la foce della Vistola, di fronte a cui, nel centro del Baltico, l'isola Fårö ricorda la Faro dell'Odissea, situata ad una giornata di navigazione dall'"Egitto": in tal modo si risolve un altro dei problemi che tormentavano il povero Strabone. D'altronde, anche le fisionomie di città achee come Micene o Calidone, quali emergono dalle descrizioni di Omero, appaiono completamente diverse dalle loro omonime sul suolo greco (in particolare, una serie di indizi inducono a ritenere che la posizione della Micene omerica coincidesse con quella dell'attuale Copenaghen).

Il Catalogo delle navi ora tocca le repubbliche baltiche: in particolare, l'Ellade doveva trovarsi sulla costa dell'attuale Estonia (dunque stava affacciata sull'antico Ellesponto, il "mare di Helle", l'attuale Golfo di Finlandia): qui gli studiosi riscontrano leggende che presentano suggestivi paralleli con la mitologia greca. Successivamente, procedendo nella scansione, si arriva alla costa finlandese affacciata sul golfo di Botnia, dove troviamo una Jolkka che ci ricorda Iolco, la mitica città di Giasone. Più a settentrione, è possibile localizzare anche la regione dell'Olimpo, lo Stige e la Pieria: la collocazione di quest'ultima, a nord del Circolo polare, è confermata da un'apparente anomalia astronomica, legata alle fasi della Luna, riscontrata nell'Inno omerico a Hermes e che si può spiegare soltanto con l'alta latitudine. Ancora più remota, sulle gelide coste della Carelia russa, era la zona delle "Case dell'Ade", visitate da Ulisse, i cui viaggi rappresentano l'ultimo vestigio di antichissime rotte preistoriche, risalenti ad un'epoca caratterizzata da un clima molto diverso da quello attuale.

Insomma, dall'esame delle caratteristiche del contesto baltico emerge un quadro straordinariamente congruente con la geografia omerica e, più in generale, con l'intero mondo mitologico dell'antica Grecia, al punto di rendere assai improbabile che tutto questo colossale insieme di corrispondenze geografiche, climatiche, toponomastiche e morfologiche -a cui fanno riscontro le clamorose incongruenze della collocazione greco-mediterranea- sia da attribuirsi ad un mero gioco del caso; sussiste invece un imponente complesso di elementi tutti perfettamente coerenti fra loro e tali da giustificare l'avvio, sui siti individuati, di ricerche archeologiche basate sui risultati e sulle indicazioni che scaturiscono da questa ricerca.

Ecco, dunque, il "segreto" racchiuso nei poemi omerici e finora mai svelato: il teatro della guerra di Troia e delle altre vicende della mitologia greca non fu il Mediterraneo, ma il mar Baltico, sede primitiva dei biondi "lunghichiomati" Achei, riguardo ai quali esiste già la tendenza a considerarli provenienti dal settentrione, sulla base di una serie di testimonianze archeologiche raccolte sui siti micenei in Grecia. A tale riguardo il prof. Martin P. Nilsson, eminente studioso ed archeologo svedese, nel suo famoso Homer and Mycenae riporta numerose, e significative, prove che attestano l'origine nordica di quel popolo: ad esempio la presenza, nelle più antiche tombe micenee in Grecia, di grandi quantità di ambra (che invece scarseggia sia nelle sepolture più recenti, sia in quelle minoiche a Creta); l'impronta prettamente nordica della loro architettura (il "megaron" miceneo «è identico alla sala degli antichi re scandinavi»); la «impressionante somiglianza» di alcune lastre di pietra provenienti da una tomba di Dendra «con i menhir conosciuti dall'età del bronzo dell'Europa centrale»; i crani di tipo nordico trovati nella necropoli di Kalkani e così via.
D'altro canto, in certi reperti dell'archeologia scandinava, ed in particolare nelle figure incise sulle lastre del tumulo di Kivik, in Svezia, sono state riscontrate rimarchevoli affinità con i modelli dell'arte egea, al punto da indurre qualche studioso del passato ad ipotizzare che quel monumento fosse opera dei Fenici. Inoltre, un significativo indizio della presenza degli Achei nel nord dell'Europa è costituito da un graffito miceneo ritrovato nel complesso megalitico di Stonehenge, in Inghilterra meridionale, insieme con altre tracce, riscontrate dagli archeologi sempre nella stessa area ("cultura del Wessex"), di epoca precedente all'inizio della civiltà micenea in Grecia: a tale proposito, ricordando che le isole britanniche sono state un importante centro di produzione dello stagno sin dall'antichità, potrebbe essere significativo un accenno dell'Odissea ad un mercato dei metalli dove si scambiava il ferro col bronzo, ubicato oltremare e chiamato "Temesa", nome ricollegabile a quello del Tamigi (denominato "Tamesis" o "Tamensim" dagli antichi cronisti).

In ogni caso, all'epoca in cui sono ambientati i poemi omerici doveva essere ormai prossimo al tracollo un periodo caratterizzato da un clima eccezionalmente caldo, durato alcuni millenni: è accertato infatti che il cosiddetto "optimum climatico post-glaciale", con temperature che nell'Europa del nord furono molto superiori a quelle attuali, raggiunse l'acme verso il 2500 a.C. e iniziò a declinare attorno al 2000, fino ad esaurirsi completamente qualche secolo dopo. Fu probabilmente questo il motivo che ad un certo punto indusse gli Achei a trasferirsi nel Mediterraneo (scendendo, forse, per il fiume Dnepr verso il mar Nero, come molti secoli dopo avrebbero fatto i Vichinghi, la cui cultura presenta singolari affinità con quella achea): qui essi diedero origine alla civiltà micenea, notoriamente non autoctona della Grecia, la quale fiorì a partire dal XVI secolo a.C., in buon accordo quindi con le indicazioni climatiche.

Questa ricostruzione non soltanto rende conto delle straordinarie corrispondenze tra il mondo di Omero e quello baltico-scandinavo, ma spiega anche il fatto che la civiltà micenea appare diversa -e nettamente più progredita- rispetto a quella omerica: evidentemente il contatto con le raffinate culture mediterranee ne favorì una rapida evoluzione. A tutto ciò va aggiunta la dimensione spiccatamente marinara di cui essa è pervasa (come d'altronde lo è in generale la mitologia greca), il che ben difficilmente si può spiegare con l'ipotesi di una provenienza continentale, mentre trova una splendida conferma in quelle tracce riscontrate in Inghilterra.

Fu, insomma, lungo le coste baltiche che si svolsero le vicende narrate da Omero, presumibilmente collocabili nella fase declinante dell'"optimum climatico", verso l'inizio del II millennio a.C., prima dello spostamento degli Achei verso il Mediterraneo e del conseguente sorgere della civiltà micenea in Grecia (ecco perché già nell'antichità classica si era persa qualsiasi notizia attendibile sull'autore, o gli autori, dei due poemi). I migratori portarono con sé epopee e geografia: attribuirono infatti alle varie località in cui si insediarono gli stessi nomi che avevano lasciato nella patria perduta, di cui perpetuarono il retaggio nei poemi omerici e nella mitologia greca (la quale, se da un lato presenta molti punti di contatto con quella nordica, dall'altro, forse in seguito al crollo della civiltà micenea, avvenuto attorno al XII secolo a.C., ha perso il ricordo della grande migrazione dal settentrione, peraltro ampiamente attestata dall'archeologia); inoltre ribattezzarono con i corrispondenti nomi baltici anche le altre regioni dell'area mediterranea, quali la Libia, Creta e l'Egitto, generando in tal modo un colossale "equivoco geografico" durato fino ai nostri giorni.

Queste trasposizioni vennero agevolate -anzi, forse, suggerite- da una certa analogia tra la configurazione geografica del Baltico e quella dell'Egeo: basti pensare alla corrispondenza tra Öland ed Eubea, o tra Sjælland e Peloponneso (dove peraltro, come abbiamo visto, dovettero forzare il concetto di "isola"); il fenomeno venne poi consolidato, nel corso dei secoli, dal progressivo affermarsi dei popoli di lingua greca nel bacino del Mediterraneo, a partire dalla civiltà micenea fino all'epoca ellenistico-romana.

Tale discorso potrebbe essere ricondotto alla questione più generale dell'origine della famiglia indoeuropea, di cui i Micenei facevano parte, tenuto conto del fatto che il loro insediamento in Grecia fu pressoché contemporaneo a quello degli Hittiti in Anatolia, degli Arii in India e dei Cassiti in Mesopotamia (per non parlare degi Hyksos in Egitto, a cui alcuni studiosi attribuiscono pure una provenienza indoeuropea, e dei Tocari nel Turkestan, riguardo ai quali va considerato che l'origine dell'età del bronzo in Cina risale sempre alla stessa epoca). Insomma, il tracollo del clima nell'Europa settentrionale potrebbe stare alla base della diaspora degli Indoeuropei, a partire da una possibile patria originaria nordica, come già sostenuto dal Tilak nel suo The Arctic Home in the Vedas sulla base di una approfondita analisi degli inni vedici.

Tornando al mondo omerico, la prospettiva così individuata -a cui non manca il requisito popperiano della "falsificabilità"- se da un lato consente di far luce su una serie di problematiche rimaste finora insolute, dall'altro ha già subìto una positiva verifica attraverso i sopralluoghi effettuati sui territori interessati, che ne hanno mostrato la precisa congruenza con le descrizioni omeriche. Pertanto è ormai maturo il tempo di avviare specifiche indagini archeologiche nelle località individuate, "in primis" nel territorio di Toija e nell'isola di Lyø, corrispondente ad Itaca sotto tutti gli aspetti, geografici, topografici, morfologici e descrittivi: per di più si tratta di siti archeologicamente assai promettenti.

In ogni caso, le concordanze tra i dati forniti dai poemi omerici ed i corrispondenti ambiti geografici dell'Europa settentrionale, unitamente alla coerenza del quadro complessivo delineato dalla mitologia greca una volta inserita in quel contesto, sono così straordinarie da non poter essere ignorate o eluse, anche nel caso che le indagini sui siti individuati non dovessero dare esiti favorevoli: esse, comunque, attendono una spiegazione.

Qualora poi la tesi emersa da questa ricerca -esposta nel libro Omero nel Baltico, pubblicato dalla Fratelli Palombi Editori di Roma, con la presentazione di Rosa Calzecchi Onesti, grecista e traduttrice dei poemi omerici, e la prefazione di Franco Cuomo, studioso e scrittore - fosse confortata da riscontri positivi, si aprirebbero nuovi affascinanti orizzonti, di ampiezza incalcolabile, per quanto riguarda non soltanto le indagini sulla protostoria ma, addirittura, le origini e gli sviluppi di tutta la civiltà europea. Inoltre la riscoperta di Omero in chiave nordica potrebbe favorire un diverso approccio -in chiave non più soltanto "economica" ma anche, e soprattutto, "storico-culturale"- all'idea di unità dell'Europa e, forse, contribuire alla nascita di un nuovo umanesimo nella cultura dell'Occidente.

 

L'Autore

Felice Vinci - Nato nel 1946 a Roma, ingegnere nucleare, dirigente industriale, socio del Rotary, da sempre è appassionato di mitologia greca. Ha finora pubblicato i saggi Homericus Nuncius (Solfanelli, Chieti) e Omero nel Baltico (Fratelli Palombi, Roma).

 

 
 

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