Autore: Ala Al-Aswani

Feltrinelli Editore

Pagg. 216- Prezzo € 16,00

 

 
   
In breve
La saga degli abitanti di un palazzo costruito al Cairo negli anni trenta. Storie parallele, vite che scorrono una accanto all’altra senza mai incrociarsi. Un palazzo che contiene in sé tutto ciò che l’Egitto era ed è diventato. La comédie humaine dell’Egitto contemporaneo.
Il libro
Palazzo Yacoubian è la saga non di una famiglia, ma degli abitanti di un palazzo costruito al Cairo negli anni trenta da un miliardario armeno. Storie parallele, vite che scorrono una accanto all’altra senza mai incrociarsi. Un palazzo che contiene in sé tutto ciò che l’Egitto era ed è diventato da quando l’edificio è sorto in uno dei viali del centro. Dal devoto e ortodosso figlio del portiere che vuole entrare in polizia ma che finirà invece per immolarsi nel nome di Allah, alla sua fidanzata, vittima delle angherie dei suoi padroni; dai poveri che vivono sul tetto dell'edificio e sognano una vita più agiata, al signore aristocratico poco timorato di Dio e nostalgico dei tempi di re Faruk che indulge in piaceri assolutamente terreni; dall'intellettuale gay con la passione per gli uomini nubiani che vive i suoi amori proibiti, neanche così clandestinamente, all’uomo d’affari senza scrupoli del pianterreno che vuole entrare in politica. Ciascuno di questi personaggi si ritroverà a fare delle scelte che, alla fine, porteranno alla rovina o alla redenzione. Quale sia l’esito, sarà il lettore a deciderlo. Ogni personaggio interpreta una sfaccettatura del moderno Egitto dove la corruzione politica, una certa ricchezza di dubbia origine e l’ipocrisia religiosa sono alleati naturali dell’arroganza dei potenti, dove l'idealismo giovanile si trasforma troppo rapidamente in estremismo e dove ancora prevale un'immagine antiquata della società. Oltre ai numerosi protagonisti, in questo romanzo campeggia la denuncia della società, della politica egiziana e dei movimenti islamisti, una denuncia particolarmente cara ad al-Aswani che oggi è uno degli esponenti di punta del movimento di opposizione egiziano Kifaya. Non a caso, un fervente sostenitore del libro è stato Saad ed-Din Ibrahim, celebre attivista egiziano per i diritti umani. Al-Aswani racconta magistralmente le piccole storie private, le tragedie e le gioie dell’Egitto che meno conosciamo, un Egitto plurale, un Egitto fatto di persone che si divertono, che vivono e che vanno ben al di là dell’immagine stereotipata che abbiamo dell’altra sponda del Mediterraneo.
 

"Corriere della Sera" , 04/03/2006

Livia Manera , Il bestseller d’Egitto è un Palazzo satanico

 

Quando nel 1934 il milionario armeno Nichan Yacoubian decise di far costruire un palazzo nel centro del Cairo che portasse il suo nome, si rivolse a uno studio di architettura italiano che elaborò un progetto nel più classico stile europeo: nove piani con i balconi abbelliti da sculture neoelleniche, colonne, scale e corridoi di marmo, e il nome “Yacoubian” in caratteri decò nell’ingresso, illuminati da un modernissimo neon. Il palazzo ebbe subito fortuna, e ministri, pasha, industriali, stranieri e milionari ebrei vi alloggiarono fino agli anni ‘50, parcheggiando le loro Rolls-Royce e Buick nell’immenso garage sul retro. Poi, con la rivoluzione del 1952, gli ebrei e gli stranieri se ne andarono, e i loro alloggi furono requisiti da generali e ufficiali fino agli anni ‘70, quando col liberismo molti benestanti abbandonarono le strade del centro e il legame tra i grandi appartamenti patrizi e le minuscole stanze della servitù, situate su un piano a parte, si spezzò. Fu allora che palazzo Yacoubian cominciò a prendere la fisionomia di un alveare socialmente variegatissimo. Nel frattempo il figlio di Nichan Yacoubian, Dikran, se ne andò a vivere a Ginevra, e il palazzo, lasciato nelle mani di amministratori, cominciò a esibire sulla facciata cartelloni pubblicitari e condizionatori, nel più classico disordine cairota. Quello che gli Yacoubian non avrebbero mai potuto immaginare, è che il loro elegante edificio al numero 34 di viale Talaat Arb, sarebbe nel nuovo millennio diventato protagonista del più sensazionale e controverso bestseller del mondo arabo, Imarat Ya’Qubyan, o, nell’edizione italiana Palazzo Yacoubian: 216 pagine di amori, ardori, afrori e soprusi, sospiri, estorsioni, pestaggi e lacrime, che raccontano un Egitto in crisi di identità e che presto diventeranno un film scritto dal massimo sceneggiatore egiziano, Wahid Hamed, e dotato di un budget che a noi parrà modesto - tre milioni di dollari - ma che è il più alto nella storia della fiorente industria cinematografica egiziana. Nelle speranze dei produttori, sarà il loro Ocean’s eleven. L’autore di tal fenomeno letterario si chiama ‘Ala al-Aswani, ha 47 anni e fa il dentista perché, se nel mondo è difficile vivere da scrittori, in Egitto è difficile persino sapere dal tuo editore quante copie del tuo libro ha venduto. Quanto al nostro autore, ha pubblicato altri tre libri di racconti, scrive articoli di politica sul “Nasserian Al-Arabi”, ed è figlio dello scrittore Abbas al-Aswani, avvocato che aveva studio a palazzo Yacoubian. ‘Ala al-Aswani, che lo ha ereditato, lo ha diviso fino a qualche anno fa col camiciaio Malak Khela, i cui eredi gli hanno fatto causa per due milioni di lire egiziane dopo aver letto Palazzo Yacoubian. E non sono i soli. Questo perché ‘Ala al-Aswani, egiziano di vedute liberali che ha studiato al liceo francese del Cairo e si è specializzato a Chicago, ha pensato che alla sua comédie humaine dell’Egitto contemporaneo avrebbe giovato ispirarsi alla vita dei veri inquilini del palazzo (anche se lui nega), ai quali in alcuni casi non avrebbe nemmeno cambiato nome. Ecco quindi nel romanzo Malak, il disgraziato fratello dell’ancora più disgraziato portinaio Abaskhron con una gamba sola, che appena riesce a risollevare il capo dalle umiliazioni e ad aprire una camiceria a palazzo Yacoubian, cerca di sfruttare la giovane disgraziata Buthayna, fidanzata del disgraziato Taha che per la frustrazione di non poter diventare poliziotto diventerà terrorista, e avviarla con beneplacito della disgraziatissima madre di lei, al commercio del proprio corpo. Il merlo da abbindolare con le sue grazie è Zaki bey, sessantacinquenne dai capelli tinti e la libido vivace, nostalgicamente affezionato alla memoria del vecchio re di cui il padre era ministro e anagraficamente legato alla terribile Dalwat, la sorella che in bigodini e sigaretta nel bocchino d’oro, architetta angherie indicibili per accaparrarsi i suoi beni. Tra gli altri personaggi vi è hagg ‘Azzam, che si guadagna il paradiso regalando alle donne pie abiti islamici nuovi in cambio di quelli occidentali usati, e intanto si arricchisce con l’eroina; Su’ad, la povera crista costretta a sposarlo e ad abortire con la forza; il colonnello Rashwan, torturatore entusiasta di radicali; e Hatim, aristocratico intellettuale gay prestato al giornalismo, che farà una pessima fine come quasi tutti gli altri. Palazzo Yacoubian è una lettura divertente nella misura in cui può esserlo una tragedia colorita, quella di un popolo umiliato da più di vent’anni anni di brogli elettorali, corruzione e pestaggi della polizia, raccontata attraverso personaggi caricaturali - vecchi sporcaccioni, omosessuali effeminati e donne dalle forme “voluttuose” e le labbra “carnose, socchiuse e sensuali” - ma nonostante tutto commoventi. Del resto l’autore voleva essere letto da tutti (“Hemingway e Cechov e Tolstoj non si sono certo fatti la reputazione nei salotti” ha detto in un’intervista), e a tutti fare arrivare il messaggio che, come dice Zaki bey nel romanzo: “La dittatura ha rovinato l’Egitto e i suoi effetti inevitabili sono la povertà, la corruzione e il fallimento in ogni campo”. Fallimenti che oggi spingono i giovani all’Islam radicale per disperazione e per vendetta. Non è un quadro allegro, con gli sceicchi che incitano gli studenti nelle moschee, e hanno il diritto di far ritirare dalle librerie i libri a loro sgraditi. Detto questo, come una società simile abbia tollerato che Palazzo Yacoubian diventasse un bestseller, seppure accompagnato da una sfilza di querele, è un mistero degno delle sue contraddizioni.

 

 

 

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