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Ankh: la chiave della vita? 

La croce ansata, ovvero il segno Ankh, è considerato per antonomasia il simbolo della vita. Questo onnipresente archetipo, che si presenta come una T sormontata da un ovale, ha una sorte simile allo Djed, nel senso che il suo vero significato è ancora – a dir poco – incerto. Soffio vitale, chiave della vita (?!), legaccio, sandalo, nodo magico… nelle raffigurazioni è spesso tenuto in mano dagli dèi o dal Faraone, che lo impugnano nel cavo dell’ovale; talvolta, addirittura, viene imbracciato all’altezza del gomito, con il braccio piegato, proprio come si fa con una borsetta da donna.  Tenendolo per il manico e avvicinando l’ovale al naso della persona raffigurata, un dio, il Faraone, o il Sommo Sacerdote, potevano infondere la vita a questa.

La scena che riproduce il rito dell'apertura della bocca, presente in ogni tomba egizia, ha immortalato nei millenni ciò che veniva veramente fatto alla mummia prima della chiusura del sarcofago, tenendo questo in posizione verticale, con il feretro in piedi. 

 

Che cosa aveva ispirato gli Egizi a disegnare l'Ankh? Generalmente i geroglifici hanno un significato omofono o sono indicativi, così da formare una forma di scrittura simile ai rebus; secondo a quale è vicino, un "segno sacro" poteva avere diversi significati, nella scrittura. Ma quando un segno sembra essere un oggetto, come in questo caso, viene da chiedersi che cosa maledizione è, o meglio era!

Andiamo per gradi: era usato dagli dèi. Lo si può osservare in mano a qualunque di loro... eccetto Osiride. Dunque, essendo morto, non poteva essere il soggetto che dà la vita, ma l'oggetto che la riceveva; impugnava invece, benché fasciato nelle bende di lino, il bastone pastorale e il flagello (i simboli della regalità). Concentriamoci ora sulla peculiarità di Osiride: si tratta dell'unico dio che muore, o per lo meno la cui morte viene raccontata con dovizia di particolari. E che dopo la morte rinasce alla vita eterna. Inoltre è interessante che la sua sposa Iside abbia concepito il figlio Horus "miracolosamente", destinandolo a regnare sull'Egitto al posto del padre, per riunirsi a lui formando un'Unità, dopo che Osiride era già morto. Ci sono molte analogie con Gesù.

Osiride e Gesù

Papiro di Nu

Nel Libro dei Morti del Papiro di Nu, conservato al British Museum di Londra, è citato: “Io sono il vostro Signore. Venite a prendere posto tra le mie file. Io sono il figlio del vostro Signore e voi mi appartenete per mezzo del Padre Divino che vi ha creato. Io sono il Signore della Vita.” Gesù pronuncerà  parole quasi identiche 22 secoli dopo…

La morte di Osiride, avvolta nella leggenda, è raccontata con diverse versioni: talvolta viene rinchiuso vivo in una cassa e gettato nel Nilo, dove affogherà (in questo caso la cassa andrà a finire su di un albero di sicomoro[1], che poi  – crescendo – la ingloberà); un’altra versione lo vuole smembrato dal fratello Set, che disperderà i pezzi in giro per l’Egitto (che poi Iside cerca per anni e rimette insieme, meno uno, il fallo). Esiste inoltre una versione più “ufficiale” delle altre, e per questo merita una spiegazione più particolareggiata: Osiride viene crocifisso a un albero di sicomoro, sul cui tronco era stata fissata orizzontalmente un’asse. Gli furono  legate le mani e i piedi… su di un patibolo a forma di Tau, la croce.

 Testi delle piramidi (Pepi II)

Nella piramide di Pepi II[2] c’è la seguente scritta: “Omaggio a te sicomoro gran patibolo, compagno del Dio. Il tuo petto tocca la spalla di Osiride.” 

Papiro di Ani

Nel papiro di Ani[3], al capitolo 77, si legge quest’altra frase: “Io sono venuto e ho tolto questa cosa oltraggiosa che era su Osiride. Ho posto la corona Atef al posto della corona Ureret. Ho alleviato il dolore, ho sostenuto il supporto dei suoi piedi.” Sempre su questo papiro, si parla di Osiride come “Signore Santo”, e “Signore di Giustizia”. 

Altre fonti

Altre fonti, come il papiro di Hunefer[4], e i testi della piramide di Unas, parlano di un’ultima cena durante la quale Osiride divide pane e carne consacrati nel suo nome. Osiride, dopo l’ultima cena, è consapevole che sta per subire la passione che lo porterà alla morte; sa di aver compiuto tutte le opere della sua vita, e sa che la sua ora è giunta. Ma all’ultimo momento viene preso da timore e sconforto e confessa di aver paura di “avviarsi verso le tenebre”.  Molte analogie con Gesù, come si può evitare di notarle? E poi ce sono altre, anch’esse piuttosto sconcertanti:

1- la croce Ankh. A guardarla bene, è presumibilmente la forma stilizzata di un albero con un’asse orizzontale a formare un patibolo a forma di croce… dove il fogliame consiste nell’ovale (come un albero disegnato da un bambino) sopra al Tau formato dal tronco e dall’asse. Insomma è il simbolo religioso per eccellenza, come oggi la croce. L’archetipo del patibolo. Il simbolo della resurrezione e della vita eterna. Da qui il significato simbolico di soffio vitale e le formule pronunciate dal Gran Sacerdote durante il rito di apertura della bocca: “Tu parlerai di nuovo, tu respirerai di nuovo…”

2-il bastone pastorale, che era usato anche da Gesù, che pure si definiva Pastore di anime…

Sapevano bene che ci sarebbe stato il giudizio di Osiride, dal quale dipendeva il futuro nell’aldilà o la fine definitiva. Per questo, durante la psicostasia[5], il defunto doveva dimostrare di meritare di vivere per sempre.  

In un concetto misto – e mistico – che non è stato ancora mai capito razionalmente, l’Essere Umano era l’insieme di cinque elementi: il corpo, l’energia vitale, l’energia spirituale (akh), l’anima (ba), il corpo astrale o doppio (ka). Con la morte fisica, venivano a mancare i primi due, mentre i rimanenti tre si dividevano: il ka, essendo l’energia sottile più strettamente legata all’aspetto fisico, ai ricordi e al nome, era l’unico che andava e veniva dalla dimora dell’eternità, che noi chiamiamo tomba. Da qui aspettava il momento di riunirsi con un altro corpo e la relativa energia vitale. L’attesa poteva essere breve o lunghissima… ma in uno stato di essere in cui il tempo è solo una dimensione diversa, l’eternità, senza un “orologio” di riferimento, equivale a un attimo.

Gli antichi Egizi credevano che prima di rientrare in un altro corpo, potessero passare anche 3000 anni. Probabilmente questo fu uno dei motivi che li indusse a voler preservare il corpo del defunto più a lungo possibile. Almeno teoricamente, questo avrebbe potuto essere un modo per preservare il DNA, per un’eventuale futura clonazione che permettesse di riunire i cinque elementi.  


[1] Albero con il cui legno in Egitto si fabbricavano i sarcofagi.

[2] Faraone del Primo regno intermedio, tra la VI e la VII dinastia; ebbe un lunghissimo regno di 94 anni, prima della rapida disintegrazione dell’antico regno menfitico. La data del regno è incerta, ma si pone tra il 2200 ed il 2050 a.C.

[3] Esposto al British Museum di Londra.

[4] Esposto al British Museum di Londra.

[5] Rito di pesatura dell’anima durante il giudizio di Osiride.

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